Hikikomori: quando il ritiro sociale degli adolescenti diventa estremo

Fiorenzo Ranieri

Sul finire del secolo scorso (1998) lo psichiatra giapponese Saitō ha coniato il termine “hikikomori”  per definire una particolare forma di ritiro sociale diffusa in Giappone.

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Saitō elencò nel suo lavoro i segni tipici di questa sindrome: ritiro e evitamento sociale per almeno sei mesi, fobia scolare e abbandono scolastico, apatia, inversione del ritmo circadiano veglia – sonno, comportamento violento in famiglia, in particolare verso la madre. Il segno caratteristico è la autosegregazione nella propria camera di un soggetto che non mostra segnali evidenti di disagio psicologico o malattia mentale.  (Teo & Alan, 2010). Questi adolescenti e giovani adulti evitano le occasioni che portano ad un contatto visivo diretto, ad esempio luoghi dove ci si può salutare, bar, parrucchieri ecc. (Wong, 2009).

L’ampia diffusione del fenomeno tra adolescenti e giovani adulti ha spinto il Ministero della Salute giapponese a condurre uno studio sistematico sull’hikikomori (Ministry of Health, Labour & Welfare, 2003). La ricerca scoprì che in un anno ben quattordicimila giovani si erano rivolti ad un centro di salute mentale per hikikomori[1]. Il Ministero ha definito delle linee guida per la l’individuazione di un hikikomori: stile di vita centrato sulla propria casa; ritiro completo dalla società per sei o più mesi; rifiuto scolastico e/o lavorativo; al momento di insorgenza del fenomeno nessuna diagnosi di schizofrenia, ritardo mentale o altre patologie psichiatriche rilevanti. È importante notare che i soggetti con ritiro o perdita di interesse per la scuola o il lavoro che continuano a mantenere relazioni sociali non vengono considerati hikikomori.

Il dibattito psichiatrico in Giappone si è focalizzato su due punti di vista diversi. Il primo riconduce i casi di hikikomori alle categorie diagnostiche già formulate dal DSM (Kondo et al., 2013). Il secondo differenzia tra due tipi di hikikomori, quello primario, in cui lo stato di hikikomori non va considerato come un disordine mentale ma piuttosto come una condizione che implica problemi di comportamento, e quello secondario, caratterizzato da un disturbo pervasivo dello sviluppo (Suwa et al., 2003; Suwa & Suzuki, 2013). Per tale motivo secondo altri psichiatri gli hikikomori dovrebbe essere una categoria diagnostica indipendente da legittimare con un aggiornamento del DSM 5 (Teo & Gaw, 2010).

Studi condotti in nazioni asiatiche e occidentali hanno rivelato che il fenomeno degli hikikomori non riguarda esclusivamente il Giappone (Mastropaolo, 2011), ma anche nazioni come Spagna, Francia, Stati Uniti, Australia e Regno Unito oltre che in diversi paesi asiatici (Kato et al., 2012). Alcuni autori ritengono che l’hikikomori trascenda il contesto culturale pur essendone influenzato (Sakamoto et al., 2005).

Hikikomori in Italia

In Italia diversi lavori hanno riferito di adolescenti con comportamenti simili a quelli dei coetanei giapponesi (Piotti, 2012). Gli studi hanno rivelato l’esistenza di adolescenti che riducono il propria rapporto con il mondo alla sola relazione mediatica, e talvolta evita anche questa ultima forma di contatto. Diversi servizi pubblici o del privato sociale hanno iniziato trattamenti per adolescenti hikikomori. A Napoli l’Unità Operativa di Psicopatologia degli Adolescenti (U.O.P.A.) ha definito un protocollo per i ragazzi in autoreclusione. È previsto un lavoro in parallelo con una coppia di clinici per i genitori e uno psicoterapeuta per il ragazzo o la ragazza. Di fronte alle frequenti resistenze dell’adolescente ad uscire dalla propria stanza si è rivelato utile l’uso del telefono per i primi contatti (Ciufferi & Mancini, 2011). A Milano il “Consultorio gratuito per gli adolescenti ritirati che abusano delle nuove tecnologie” ha avviato una ricerca – intervento per il ritiro sociale adolescenziale. Il consultorio milanese ha curato 139 adolescenti compresi tra i 9 e i 24 anni d’età tra il gennaio 2012 e l’aprile 2014. Circa la metà dei soggetti manifestavano comportamenti simili a quelli degli hikikomori. Il trattamento clinico e socio – riabilitativo, basato su consultazione con i genitori, interventi domiciliari, laboratori, psicoterapia individuale, ha consentito di raccogliere un ricco patrimonio di conoscenze cliniche (Cooperativa Minotauro, 2014). Ad Arezzo negli ultimi anni diversi adolescenti sono stati condotti all’UFSMIA di dai propri familiari per grave ritiro sociale. Questi ragazzi non vanno a scuola e nemmeno escono di casa. Tali condotte si accompagno con un progressivo annullamento delle relazioni con i pari e il ritiro nella propria camera. Il ciclo veglia – sonno è in tutti i soggetti fortemente alterato. Il tempo in camera è lasciato scorrere senza far nulla o, nel migliore dei casi, con attività solitarie come il disegno, i videogiochi, la lettura di fumetti, l’uso di internet senza contatti con i social network. I rapporti familiari sembrano avere una costellazione tipica: un padre che è stato per lungo tempo assente, e che, nonostante la propria disponibilità, non riesce nel presente a recuperare le relazioni familiari; una madre molto legata al proprio figlio ma per motivi diversi in costante ansia per le azioni e le sue scelte e poco capace di gestire porre dei limiti e di gestire il rapporto. Quasi tutti i ragazzi e le ragazze hanno uno o più animali di compagnia. Non vengono riferiti disturbi del comportamento alimentare né sintomi che indirizzino verso condizioni psicopatologiche come psicosi, ritardo mentale, autismo. La fragilità emotiva richiede una grande cautela da parte del clinico nei primi incontri fino a quanto non viene stabilita una significativa relazione terapeutica.

A volte i ragazzi e le ragazze più che hikikomori si potrebbero definire “sulla strada del ritiro”. Non tutti i segnali di disagio sono in questo caso presenti. In più di una situazione ad esempio i contatti con i pari sono stati sostanzialmente interrotti mentre continua la frequenza scolastica, vissuta come una esperienza solitaria in una classe di estranei. Purtroppo la scuola non sembra in grado di individuare il ritiro sociale se non al momento dell’abbandono scolastico. Per tale motivo gli insegnati possono fornire informazioni solo parzialmente utili al clinico.

La raccolta di dati clinici ha cercato di individuare i criteri utili per un protocollo unico d’intervento (Ranieri et al., 2015a; Ranieri et al. 2015b). Questo obbiettivo non è stato di fatto raggiunto. Le esperienze indirizzano verso strategie terapeutico – riabilitative modulate caso per caso. In diverse occasioni una combinazione di psicoterapia individuale e l’intervento con la famiglia (consulenza o psicoterapia familiare), associato a volte con programmi di educazione professionale hanno sortito l’effetto di riattivare i contatti sociali e le relazioni con gli altri. In altri casi sono state attivate anche altre forme di intervento, dai trattamenti psicofarmacologici all’intervento del Servizio Sociale, dalla segnalazione al Tribunale dei Minori all’allontanamento dalla famiglia con collocazione in comunità. Il singolo programma terapeutico – riabilitativo è progressivamente calibrato principalmente sulla base delle risorse psicologiche e umane della famiglia e del singolo adolescente, sul grado di compromissione delle relazioni familiari, sulla risposta agli interventi ai singoli interventi clinici proposti.

Il programma terapeutico – riabilitativo di un hikikomori è complesso. Un unico tipo di approccio (es psicoterapia individuale o terapia familiare) non è sufficiente. Con la combinazione di approcci clinici e riabilitativi diversi è possibile creare una rete di trattamento in grado di promuovere le risorse del soggetto e suo contesto familiare e sociale. Deve essere tuttavia chiaro che al momento c’è  la necessità di aumentare le conoscenze cliniche sul di ritiro sociale estremo per creare nuovi programmi integrati utili.

Bibliografia

  1. Ciufferi M. G., Mancini F. (2011). Esperienze terapeutiche con adolescenti che si isolano. In Sagliocco G. (a cura di). Hikikomori e adolescenza – Fenomenologia dell’autoreclusione. Milano – Udine: Mimesis Edizioni.
  2. Cooperativa Minotauro (2014). La bruttezza immaginaria – Intervento clinico con ragazzi ritirati. Atti dell’evento culturale tenutosi a Milano il 9 e 10 maggio 2014. http://www.telecomitalia.com/content/dam/telecomitalia/Generalistic-images/Documenti/ricerca.pdf
  3. Furlong, A. (2008). The Japanese hikikomori phenomenon: Acute social withdrawal among young people. Sociological Review, 56(2), 309-325.
  4. Kato T.A., Tateno M., Shinfuku N. (2012). Does ‘hikikomori’ syndrome of social withdrawal exist outside Japan? A preliminary international investigation. Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology, 47, 1061-75.
  5. Kondo N., Sakai M., Kuroda Y., Kiyota Y., Kitabata Y., Kurosawa M. (2013). General condition of hikikomori (prolonged social withdrawal) in Japan: Psychiatric diagnosis and outcome in mental health welfare centres. International Journal of Social Psychiatry, 59(1), 79-86.
  6. Mastropaolo L. (2011). Nuove patologie adolescenziali o nuove emergenze sociali? L’hikikomori è solo giapponese? Terapia familiare, 97, 31-57.
  7. Ministry of Health, Labour & Welfare (2003). Community mental health intervention guidelines aimed at socially withdrawn teenagers and young adults. Tokyo: Ministry of Health, Labour & Welfare.
  8. Piotti A. (2012). Il banco vuoto – Diario di un adolescente in estrema reclusione. Milano: FrancoAngeli.
  9. Ranieri F., Andreoli M., Bellagamba E., Franchi E.; Mancini F.; Pitti L.; Sfameni S.; Stoppielli M. (2015a): “Early adolescents in social withdrawal: elements for the assessment of hikikomori syndrome”. Proceedings of the 23rd EPA Congress of Psychiatry. 2015; – European Congress of Psychiatry; MAR 28-31, 2015; Vienna. [Poster]. Elsevier Masson SAS..
  10. Ranieri F., Andreoli M., Bellagamba E., Franchi E.; Mancini F.; Pitti L.; Sfameni S.; Stoppielli M. (2015b). Early adolescence in social withdrawal: two hikikomori in treatment. Proceedings of the 23rd EPA Congress of Psychiatry. 2015; -European Congress of Psychiatry; MAR 28-31, 2015; Vienna. [Poster]. Elsevier Masson SAS.
  11. Saitō T. (1998). Shakaiteki hikikomori: owaranai shishunki (Social withdrawal: a neverending adolescence). Tokio: PHP Shinsho.
  12. Sakamoto N., Martin R. G., Kumano H., Kuboki T., Al-Adawi S. (2005). Hikikomori, is it a culture-reactive or culture-bound syndrome? Nidotherapy and a clinical vignette from Oman. The International Journal of Psychiatry in Medicine, 35(2), 191-198.
  13. Suwa M., Suzuki K., Hara K., Watanabe H., Takahashi T. (2003). Family features in primary social withdrawal among young adults. Psychiatry and Clinical Neurosciences, 57, 586-594.
  14. Suwa M., Suzuki K. (2013). The phenomenon of “hikikomori” (social withdrawal) and the socio-cultural situation in Japan today. Journal of Psychopathology, 19, 191-198.
  15. Teo A.R. (2010). A New Form of Social Withdrawal: A Review of Hikikomori. International Journal of Social Psychiatry, 56(2), 178-185.
  16. Teo A.R., Gaw A.C. (2010). Hikikomori, a Japanese Culture-Bound Syndrome of Social Withdrawal? The Journal of Nervous and Mental Disease. 198, 6, 444-449.
  17. Wong V. (2009) Youth locked in time and space? Defining features of social withdrawal and practice implications. Journal of Social Work Practice: Psychotherapeutic Approaches in Health, Welfare and the Community, 23, 3, 337-352.

[1] Dati epidemiologici più recenti riferiscono di circa 410.000 casi in tutto il Giappone (Furlong, 2008); stime indirette ipotizzano 600.000 casi tra giapponesi di età compresa tra i 20 e i 40 anni (Suwa & Suzuki, 2013) e oltre il milione di soggetti se si considera anche la fascia adolescenziale (Borovoy, 2008).

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