Fuggire da sé – Una tentazione contemporanea – di David Le Breton

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da la Repubblica.it

In una società come la nostra — che vede erodersi le protezioni comunitarie, mentre un individuo sempre più solo e privo di certezze viene chiamato a continui cambiamenti e a nuove, diverse prestazioni — la tentazione di tagliare l’angolo e scomparire è piuttosto forte. Accade per senso di inadeguatezza, stress da lavoro, o più semplicemente perché si è deciso di chiamarsi fuori dal gioco. Di queste e altre ragioni dà conto il sociologo e antropologo David Le Breton in Fuggire da sé. Una tentazione contemporanea (Raffaello Cortina Editore). Sì, può accadere, accade che una persona non ce la faccia più «a reggere il proprio personaggio». E abbandoni quei panni. Cinema e letteratura sono ricchi di casi del genere, che Le Breton puntualmente ricorda: scrittori come Emily Dickinson o Robert Walser. Oltre ai personaggi di tanti film di Kurosawa, Wenders, Herzog… «Tenere il mondo a distanza », nel tentativo di non venirne travolti, può anche essere un bene. Una ritirata discreta e silenziosa riveste sicuramente grande fascino. Ma altrettanto, se non più interessante, è accettare la sfida imposta da un’identità molteplice e cangiante. Perché fanno ridere i cosiddetti uomini tutti d’un pezzo, votati a una sola causa, o peggio ancora quanti — ricorrendo a presunte radici identitarie — innalzano muri invalicabili tra sé e lo straniero. In ciascuno di noi convivono mille diverse pulsioni, attitudini, credenze. La cosa migliore è riconoscerlo. Di più. Come sosteneva Canetti, «l’uomo deve imparare a essere molti uomini e a tenerli tutti insieme… Anziché gli altri, dovrà governare le sue personalità; queste avranno nome, egli le conoscerà, potrà comandarle. E la sua avidità di dominio non vorrà più agire sugli estranei…». Insomma, se invece di “fuggire da sé”, accettassimo la molteplicità dell’Io, potremo anche tenere a freno la nostra mondanissima, e al fondo ridicola, hybris.

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