Quando sotto la pelle c’è un sé alieno

Fiorenzo Ranieri

Una creatura aliena senza nome sguscia sinuosa tra le nebbie di un paesino scozzese a caccia di prede umane per il proprio sostentamento. Ha le fattezze morbide, generose e conturbanti di Scarlett Johansson. Nella prima scena del film “Under the skin” (Sotto la pelle) di Jonathan Glazer tratto dall’omonimo romanzo di Michel Faber, su un essenziale sfondo bianco vediamo Scarlett in versione bruno corvino camuffarsi da umana prendendo il posto di una ragazza riversa a terra. Per tutta la durata del film andrà in cerca di uomini, seducendoli e poi nutrendosene.

L’aliena deve solo procacciare cibo, in un ripetitivo rituale quotidiano, vagando continuamente a bordo di un furgone e ammaliando con conversazioni premeditate e prive di significato ignari passanti sperduti. Ogni cosa e persona è fredda, raggelata, senza emozione. L’extraterrestre, in una maniacale coazione a ripetere, compie sempre gli stessi gesti: parla con il malcapitato di turno (parole che suonano a vuoto, indifferenti), lo seduce, lo fa sprofondare in un fondale nero pece, un buco nero in cui la carne gli viene risucchiata via, in mezzo a colate laviche rosso sangue, involucri epiteliali vuoti, soli e supernove esplose. Poi ne cerca un altro, e un altro ancora, finché la protagonista non incontra un uomo solo e deforme per cui, per la prima volta, prova compassione e inizia a concedersi attraverso un primo contatto fisico tale. Da questo punto l’estraneo (lo straniero delle stelle) sperimenta l’empatia nei confronti del genere umano, lasciando spazio, forse, per tracce di vero sentimento o per un definitivo oblio.

“Under the skin” è anche il titolo di un importante saggio di Alessandra Lemma, italiana ma psicoanalista a Londra. Lemma analizza in una prospettiva psicoanalitica, attingendo anche alla letteratura, all’arte e al cinema, la diffusa tendenza, non circoscritta solo agli adolescenti ed ai giovani, a modificare il proprio corpo in vari modi e a preoccuparsi in modo ossessivo del proprio aspetto. Quale funzione riveste, si chiede l’autrice, nell’economia psichica di una persona e forse di una società l’uso del corpo o delle modificazioni corporee effettuate, o delle performance del corpo in situazioni estreme, in cui si mette talvolta a rischio la vita? Quanto l’uso fatto del corpo è al servizio della relazione con l’altro o dell’attacco dell’altro? Per rispondere a queste domande bisogna andare nel sottopelle, underskin, o meglio “nel mondo interno della persona”. Il corpo è la tela su cui la sofferenza psichica viene esteriorizzata e lavorata, è il mezzo più duttile per comunicare gli stati interni della mente, la storia che non possiamo evitare di raccontare è quella che inevitabilmente narra il nostro corpo.

Il corpo è il campo della relazionalità, punto di incontro attraverso lo sguardo, la pelle, il corpo intero o sue parti. Le primissime relazioni tra un neonato e chi si occupa di lui avvengono attraverso un contatto di pelle. Nella esperienza di essere visti, accolti e riconosciuti l’esperienza di sé viene trasformata. Attraverso la pelle e il corpo si organizza il mondo interno che può essere umano ma anche alieno. Un sé alieno come quello di cui parla Peter Fonagy. Per Fonagy le esperienze interpersonali sono il fondamento della capacità individuale di “mentalizzare”, ovvero di comprendere il comportamento interpersonale in termini di stati mentali. Tale capacità non è solo come una competenza cognitiva, è strettamente connessa alla capacità di modulare i propri stati emotivi (regolazione affettiva) con gli altri. Il mondo esterno non è an independently existing “given” che il bambino scopre da sé, occorrono altri menti come insegnanti perché il piccolo giunga ad acquisirlo. Il fallimento di questo processo si potrebbe tradurre in una difficoltà nel mettere in rapporto la realtà interna con quella esterna, ovvero nel portare a termine quel processo di integrazione che dà luogo ad una continuità dell’esperienza. In assenza di una funzione mentale capace di gestire le esperienze troppo dolorose per essere mentalizzate possono essere messi in atto meccanismi dissociativi che determinano una discontinuità nell’esperienza soggettiva. L’esperienza che ha generato l’emozione o la percezione incompatibile viene, infatti, dissociata e rimane semplicemente presente come dato “grezzo”, che non può essere elaborato cognitivamente all’interno della rappresentazione di sé con l’altro, non può essere processata simbolicamente.

Fonagy attribuisce a questo fallimento lo sviluppo di un “Sè alieno”, ovvero una erronea interiorizzazione dello stato mentale dell’oggetto come una parte nucleare di se stesso (Fonagy et al., 2002). Al posto di un primitivo nucleo del Sé si costituirebbe un Sé alieno. La conseguenza di un inadeguato rispecchiamento genitoriale implicherebbe, quindi, lo sviluppo di un “Sé estraneo”. Una modalità di funzionamento della mente che Glazer ha rappresentato nel suo film.

Bibliografia

Fonagy P., Target, M. (2007). Playing with Reality: IV. A theory of external reality rooted in intersubjectivity. International Journal of Psychoanalysis, 88, 917-937.

Lemma, A. (2005). Under the skin: A psychoanalytic study of body modification. Routledge. Trad it.: Lemma, A. (2011). Sotto la pelle: psicoanalisi delle modificazioni corporee. Raffaello Cortina Editore.

Naccari Carlizzi M. (2012) . Recensione: Sotto la pelle – Psicoanalisi delle modificazioni corporee – 2005 Alessandra Lemma – 2011 Raffaello Cortina Milano. http://www.spiweb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2331:sotto-la-pelle&catid=40&Itemid=446

Palermo V. (2014). Al Cinema Scarlett Johansson con “Under the Skin”. Recensione del 23 agosto 2014 http://www.culturaeculture.it/spettacoli/scarlett-johansson-under-the-skin-trama-recensione/

Velotti, P., & Zavattini, G. C. (2008). L’incontro con l’altro nella relazione di coppia: il luogo della reciprocità. Funzione Gamma Journal, 21.

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