L’insostenibile vergogna del giovane maratoneta Kanakuri

Fiorenzo Ranieri

La vergogna è sicuramente una emozione penosa, frequentissima in adolescenza, quando le rassicuranti condizioni infantili vengono di colpo rivoluzionate con la crescita. Proprio la sua universalità è forse il motivo per cui la vergogna è la prima emozione descritta nella Bibbia (Genesi – Libro Terzo) quando Adamo ed Eva, a causa della rottura del loro legame fusionale con Dio, riconoscono la loro nudità e se ne vergognano cercando di coprirsi (Meterangelis, 2011).

Masaccio, nella splendida raffigurazione della Cacciata dal Paradiso Terrestre, dipinta nella Cappella Brancacci a Firenze, ci descrive Adamo che copre il proprio volto con le mani ed Eva che nasconde i suoi genitali, quasi l’ Artista abbia voluto sottolineare i modi diversi con cui l’Uomo e la Donna vivono la vergogna, che a ragione del suo carattere scatenante, spinge verso l’integrazione dell’identità individuale e sessuale (Janin, 2002).

La vergogna fa parte di un’ampia famiglia di affetti, alcuni chiaramente negativi come l’umiliazione, la mortificazione e l’imbarazzo, altri meno dolorosi ed in qualche modo utili al mantenimento e all’integrità del sé ed alle sue relazioni, come la timidezza, la riservatezza ed il pudore. Il più delle volte la vergogna induce inibizione e tendenza al ritiro sociale; chi la sperimenta cerca di occultarla per evitare ciò che viene visto o colui che vede.

La storia del giovane maratoneta giapponese Kanakuri, ben descritta dal giornalista Fittipaldi, pur nella sua particolarità parla di sentimenti comuni a ragazzi e giovani che nel confronto con gli altri cercano una rappresentazione di se stessi.

Luglio 1912. Le Olimpiadi si tengono per la prima volta in Svezia, a Stoccolma. Per la prima volta partecipa il Giappone, con due atleti. Uno di loro è Shizo Kanakuri, maratoneta, uno dei primi corridori giapponesi capace di imporsi a livello internazionale. In patria il suo nome è celebre, tanto che in occasione dei Giochi di Stoccolma viene addirittura organizzata dalla Scuola Normale Superiore di Tokyo (l’attuale Università di Tsukuba) una campagna di raccolta fondi per permettere al giovane Shizo di arrivare fino in Svezia e gareggiare.

Il 14 luglio è il giorno della gara. Il giapponese parte come favorito, insidiato dai sudafricani McArthur e Gitsham. La corsa si svolge in condizioni particolarmente difficili: il regolamento non prevede postazioni di ristoro per gli atleti, quindi niente acqua né zuccheri per tutta la durata della gara. Inoltre quel giorno a Stoccolma il caldo è eccezionale: ci sono trentadue gradi, il che in Scandinavia è quantomeno raro. Nonostante tutto Kanakuri si porta subito in testa, imponendo alla gara un ritmo proibitivo per la maggior parte degli atleti: solo MacArthur riesce a stargli dietro mentre gli altri arrancano, addirittura a metà gara il portoghese Francisco Lazaro si accascia a terra e muore poco dopo a causa della disidratazione.

Siamo vicini al trentesimo chilometro: fra Kanakuri e McArthur è testa a testa. Il sudafricano però sembra più fresco e all’improvviso piazza un allungo che risulterà decisivo. Kanakuri sembra mollare la presa e McArthur fa il vuoto, tagliando infine il traguardo per primo in poco più di due ore e trentasei minuti: l’oro olimpico è suo. I tifosi assiepati ai bordi del percorso si aspettano che giunga in seconda posizione il giapponese, ma al suo posto sul rettilineo finale appare Gitsham; dopo di lui, più staccato, lo statunitense Gaston Strobino e pian piano tutti gli altri superstiti.

Tutti tranne Shizo Kanakuri, il fuoriclasse giapponese. I giudici di gara lo attendono per diverse ore: sembra svanito nel nulla, nessuno sa dove si trovi né che fine abbia fatto. Arriva la sera e viene allertata la polizia, ma Shizo Kanakuri è scomparso. Per giorni viene battuta a tappeto tutta la zona del percorso di gara. Dopo due settimane di ricerche senza esito e di inutili appelli alla popolazione le forze dell’ordine svedesi si arrendono ed abbandonano il caso: il giovane atleta giapponese viene dichiarato ufficialmente scomparso.

Estate 1962. Sono passati cinquant’anni dalla maratona di Stoccolma e Shizo Kanakuri è ancora iscritto nel registro delle persone scomparse in Svezia. Un giornalista televisivo scopre la storia, si incuriosisce e tenta di far riaprire il caso, invano. Così decide di andare fino in fondo alla faccenda da solo: si reca all’ambasciata giapponese e riesce a mettersi in contatto con il comitato olimpico nazionale a Tokyo.

Dopo alcune settimane di indagini, la notizia viene confermata: Shizo Kanakuri è vivo ed è in Giappone. Vive a Tamana, nel sud del Paese, ed insegna geografia alla medie. Il giornalista svedese, d’accordo con il direttore del network televisivo per cui lavora, decide di partire alla volta del Sol Levante per scovare l’ormai ex-corridore e conoscere dalla sua bocca la verità sulla vicenda.

“E’ stato circa al trentesimo chilometro” riporta Kanakuri ai microfoni della Tv svedese “Ero in difficoltà, McArthur correva e non riuscivo a tenere il suo passo. Ero stremato. Mi guardai attorno, finché una signora che guardava la gara dal giardino di casa sua, ai bordi del percorso, attirò la mia attenzione e mi fece cenno di andare verso di lei. Aveva un bicchiere pieno in mano, me lo offrì, doveva essere succo di lampone. Ne bevvi cinque. Lei vide che ero a pezzi e mi indicò un divano sotto una veranda, al fresco. ‘Mi fermo mezzo minuto’ pensai e mi ci stesi sopra. Ho dormito dieci ore. Per la vergogna decisi di sparire nel nulla e tornai a casa con mezzi di fortuna”.

La vicenda umana del protagonista di questa storia ha un finale particolare grazie alla sensibilità del comitato olimpico svedese. Al di là dell’aspetto sportivo i dirigenti capiscono che è importante dare anche a tanti anni di distanza una seconda opportunità al maratoneta.

Estate 1967. In occasione del 55º anniversario dei Giochi Olimpici Shizo Kanakuri viene invitato a Stoccolma per concludere la sua maratona. Il settantaseienne accetta e riprende a correre da dove, mezzo secolo prima, si era addormentato per tagliare infine il traguardo fermando il cronometro sul tempo irripetibile di 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti, 20 secondi e 3 decimi. Forse è vero che non è mai troppo tardi.

 Bbliografia

    • Janin C. (2002) Pour une thèorie psychanalytique de la honte. Bulletin de la Societè Psychoanalytique de paris, 66, 11-100

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