Adolescenza di Caravaggio

Fiorenzo Ranieri

Della tormentata vita di Caravaggio sappiamo poco. Della sua adolescenza ancora meno. Le bibliografie che si sono accumulate nel corso dei decenni hanno associato indizi, frammenti d’archivio, scarni atti giudiziari nel tentativo di ricostruire la vita tormentata di un artista rivoluzionario. Andrew Graham-Dixon, il critico d’arte inglese, ha abbozzato alcune interessanti ipotesi sulla adolescenza e sulla prima giovinezza di Michelangelo Merisi, tra i tredici anni, quando lascia casa per il suo apprendistato presso la bottega del pittore Peterzano, a quando, ventunenne, parte dalla cittadina di Caravaggio per non tornarvi più. Caravaggio viene ritratto come un ragazzo indirizzato dalla madre verso l’arte ma che non si impegna nel costoso apprendistato pagato dalla famiglia. Privo di una figura maschile di riferimento (a sei anni Caravaggio aveva perso il padre e il nonno) il giovane trascorre il tempo bighellonando e frequentando cattive compagnie. Persa anche la madre Caravaggio brucia la piccola eredità ricevuta e alla fine, forse dopo un omicidio, va o scappa a Roma, dove solo e senza quattrini, comincia in un certo senso da autodidatta, ad occuparsi di pittura. Una vicenda quella di Caravaggio, che rimanda alle storie, attualissime, di altri ragazzi in bilico tra bellezza e distruttività dove il percorso di vita, intravisto dagli adulti, diventa proprio, quando accade, solo dopo aver bruciato tutte le relazioni e i ponti con le proprie figure di riferimento: la famiglia, gli amici, la terra d’origine.

Della prima educazione di Caravaggio non sappiamo nulla, ma certamente ne ricevette una. Un inventario dei suoi beni stilato molti anni dopo, quando era un pittore fatto e finito a Roma, rivela che possedeva diversi libri. I quadri che avrebbe dipinto nel corso della vita sono indubitabilmente opera di una mente indagatrice, curiosa e colta. (..) A tredici anni Caravaggio stipulò un contratto di apprendistato con Simone Peterzano. Il contratto fu firmato a Milano, dove questi aveva la sua bottega, e specificava gli impegni che Caravaggio si assumeva con il suo dominus, o «maestro», e che cosa esattamente avrebbe ricevuto in cambio: Non erano condizioni esattamente standard. Caravaggio e la sua famiglia s’impegnavano a pagare a Peterzano, a rate semestrali anticipate, 24 scudi d’oro per ogni anno di apprendistato, per un totale di 96 scudi. Non sempre in simili contratti l’apprendistato veniva pagato: spesso, a ricompensare il maestro per i suoi insegnamenti, era considerato sufficiente il lavoro stesso dell’apprendista. Un qualche pagamento era d’uso quando il maestro forniva all’apprendista anche vitto e alloggio, come nel caso di Caravaggio, ma il compenso pattuito con Peterzano in questa occasione era comunque insolitamente alto. Simone Peterzano era un artista eclettico e mediocre. (..) In breve, non c’è traccia di debiti verso Peterzano nell’arte della maturità di Caravaggio. Non fosse per 1’esistenza del contratto di apprendistato, non ci sarebbe ragione al mondo per collegare i due uomini. Che cosa imparò quindi Caravaggio durante l’apprendistato? Si può supporre, e usualmente si suppone, che ricevette una tradizionale formazione nelle tecniche della pittura del Rinascimento. In altre parole, imparò a preparare e macinare i colori, a disegnare, e a dipingere a buon fresco, come Peterzano. Ma Caravaggio non dipinse mai un affresco e non esiste un solo disegno di sua mano. E i suoi dipinti a olio, sottoposti ai raggi X, mostrano che non usava neanche tracciare sulla tela, come guida per il pennello, disegni preparatori. Tra le sue tecniche di audace improvvisatore e quelle che dovette apprendere nella bottega di un artista innocuo, smorto e prudente come Simone Peterzano non c’è, insomma, quasi nulla in comune. (..) Nel corso dell’apprendistato qualcosa, sembra, non andò per il verso giusto. Caravaggio era un pittore di straordinario talento innato, un virtuoso senza eguali nell’evocare l’illusione della realtà tridimensionale entro le due dimensioni della pittura. Eppure le sue prime opere note, per quanto vigorose, sono relativamente goffe e grossolane. Esse furono dipinte dopo il 1592, e a Roma. Uno che, con il suo talento, si fosse davvero applicato allo studio dell’arte a Milano per quattro interi anni, dal 1584 al 1588, lavorando «notte e giorno », come stabiliva il contratto, avrebbe dovuto fare molto di meglio. Il ritmo accelerato, vertiginoso del suo successivo sviluppo, da inizi incerti a una maestria piena, solleva ulteriori interrogativi. Iniziò a prendere la pittura sul serio solo negli anni immediatamente successivi al 1590? È possibile che abbia iniziato la sua carriera con appena un’infarinatura, quanto a tecnica pittorica, e abbia poi imparato da autodidatta, lavorando, la maggior parte di quello che giunse a sapere? Forse il tempo del suo presunto apprendistato lo passò in gran parte a marinare la bottega? L’ipotesi ha il vantaggio di contribuire a spiegare la grande originalità tecnica di Caravaggio. In qualche modo, reinventare la pittura è più facile, se non hai assorbito quasi niente di tecniche convenzionali che ti siano di impaccio. I suoi contemporanei lo descrivono come un giovane difficile, incline a risolvere i contrasti con la violenza e a scomparire per giorni e giorni di seguito. Tutto fa pensare che fosse un adolescente ribelle. Anche se assimilò qualcosa dei rudimenti dell’arte, è improbabile che fosse uno studente modello. Anzi, le testimonianze di cui disponiamo fanno pensare che fosse un pessimo studente.

L’11 maggio 1592 la spartizione definitiva dei beni di Lucia (la madre deceduta) fra Caravaggio e i suoi due fratelli. Non molto tempo dopo la divisione della proprietà, egli avrebbe lasciato Caravaggio e Milano per non tornarvi mai più. Per la metà del 1592 egli aveva messo insieme dal capitale di famiglia 1957 libbre imperiali, equivalenti a seicento scudi d’oro, circa sei volte la cifra che era costato il suo apprendistato. Entro la fine dell’anno avrebbe speso tutto. Che cosa fece con quei soldi non si sa, come non si sa esattamente che cosa fece della sua vita durante e dopo l’apprendistato. Nel 1592 aveva ventun anni. Alla stessa età il suo omonimo Michelangelo Buonarroti si era già imposto fra i maggiori artisti d’Italia. Mentre, per quanto si è riusciti a stabilire, Michelangelo Merisi, destinato a divenire presto noto come Caravaggio, non aveva ancora dipinto un solo quadro. Tutto ciò induce a pensare che egli fosse un artista, non tanto lento nel suo sviluppo, ma riluttante. Forse non voleva neppure essere un artista. Forse esplorò altre possibilità, come diventare un mercenario o un soldato di ventura. Un’altra, diversa possibilità è che si fosse messo a frequentare cattive compagnie e, in quegli anni, si limitasse a spassarsela, senza pensare al futuro, finché i soldi non finirono. Spesso i fratelli si definiscono in opposizione l’uno all’altro, e che il fratello di Caravaggio fosse stato scelto per il sacerdozio è sintomatico. Se Giovan Battista era il bravo ragazzo, forse Caravaggio aveva assunto il ruolo del cattivo. Non ci sarebbe stato da stupirsene. Era cresciuto senza avere praticamente nessuno accanto come modello maschile. Quasi tutti gli uomini a lui più vicini, che avrebbero potuto tenerlo sott’occhio, aiutarlo, mostrargli come si deve vivere, erano morti di peste. Non mancavano le occasioni, a Milano, per mettersi nei guai. Negli scritti dei biografi di Caravaggio qualche frase fa pensare che, con il pericoloso mondo della malavita milanese, egli abbia avuto a che fare, e se ne sia tirato fuori. Bellori afferma senza mezzi termini che “essendo egli d’ingegno torbido e contenzioso, per alcune discordie fuggitosene da Milano giunse in Venezia”. Ma non è l’ultima sua parola sull’argomento, perché sul frontespizio della sua copia della biografia di Caravaggio scritta da Baglione (ora nella Biblioteca Vaticana), appuntò un’ulteriore nota, non meno scarna, ma più informativa: “Macinava li colori in Milano, et apprese a colorire et per haver occiso un suo compagno fuggì dal paese” Ma anche Mancini ci ha lasciato scarabocchiato a margine qualche mormorio che illumina un po’ di più quest’angolo buio: “Fecer delitto”.

Graham-Dixon, A. (2011). Caravaggio: Vita sacra e profana. Milano: Mondadori.

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