Autolesionismo: ricerca di attenzione o ricerca di attaccamento?

Fiorenzo Ranieri

Beacon House è un Servizio per la salute mentale per bambini e giovani, famiglie e adulti che mostrano problemi emotivi e comportamentali, conflitti relazionali, patologie psichiatriche. E’ costituito da un team di psicologi, psichiatri, psicoterapeuti e terapisti occupazionali professionisti, e operano in Gran Bretagna offrendo un’ampia gamma di interventi sia di assessment che terapeutici e riabilitativi Questo Servizio ha focalizzato il proprio campo di intervento in particolare sugli effetti del trauma e sui disturbi dell’attaccamento. Il sito di questo team è http://beaconhouse.org.uk/ . In questo articolo propongo dal sito di Beacon House uno stralcio di un interessante lavoro sull’autolesionismo, un comportamento di auto danneggiamento sempre più frequente tra gli adolescenti. L’articolo è stato scritto da Shoshanah Lione, psicologo clinico.

“È come se l’autolesionismo fosse l’unico amico che possa farmi sentire meglio”.

Il comportamento autolesionista di un amico, di un partner, di un bambino o di una persona con cui lavoriamo è profondamente angosciante. Fa emergere una serie di sentimenti travolgenti: confusione, rabbia, impotenza, preoccupazione e persino panico. Questi sentimenti possono portare coloro che stanno cercando di sostenere la persona che si auto – danneggia a comportarsi stabilmente come un soccorritore (“devo fare tutto il possibile per fermarlo”) o viceversa in modo volutamente sprezzante (“si comporta così solo perché cerca attenzione, se lo ignoro, smetterà”). “Perché si fa del male? Perché semplicemente non me ne parla? Come posso fermarlo?” Queste sono tutte domande che ruotano attorno al “self-harm”. Poi, naturalmente, nel mezzo della angoscia e della preoccupazione – c’è la domanda “chi è la persona che si fa male da sola?

Perché l’autolesionismo?

L’autolesionismo non è un disturbo mentale ma un problema di regolazione emotiva. La regolazione emotiva indica la capacità di una persona di (a) rendersi conto di avere un’esperienza emotiva; (b) essere in grado di nominarla e comprenderla; (c) esprimerla agli altri in modo sano e infine (d) gestire questa emozione in modo che non sia eccessivamente stressante. Alcuni bambini, adolescenti e adulti si rivolgono all’autolesionismo perché il loro “sistema di regolazione emotiva” non è sufficiente per abbassare il volume insopportabile del loro dolore.

Questa difficoltà o carenza può essere “sentita” dal modo con cui le persone che si auto-danneggiano descrivono come si sentono. Si tratta di una esperienza preziosa per chi cerca di capire l’autolesionismo. Ecco alcune affermazioni di persone in terapia:

“È come se tutto il dolore che si è accumulato per giorni scivola via in un solo momento”

“Quando mi taglio, è il solo momento in cui mi sento reale, vivo, come qui, in questo momento”

“È come se l’autolesionismo sia l’unico amico che possa farmi sentire meglio”.

“Non voglio che la gente sappia, non si tratta di dire “guardami”, si tratta di me che trovo un modo di sentirmi tranquillo senza ferire nessun altro”

“È l’unica cosa che posso controllare nella mia vita, quindi riduce la mia ansia”

“Se non mi fossi tagliato, sarei morto. Tagliarmi letteralmente mi tiene in vita”

Gli individui che lottano per tollerare il dolore e lo stress e gli individui con difficoltà mentali spesso si trovano in uno stato di ipereccitazione (eccezionalmente vigili, nervosi, ansiosi) o in uno stato di ipo – eccitazione (sentirsi morti e intorpiditi all’interno). L’autolesionismo è un potente modo per trovare una via di mezzo tra i due stati emotivi estremi. Quando il soggetto è ansioso l’autolesionismo gli ridà la calma; e quando è morto dentro, l’autolesionismo risveglia il corpo e la mente. L’autolesionismo diventa la figura di attaccamento della persona, la sua base sicura. Il vero problema per coloro che si auto – procurano dei danni come dei tagli, è che questi comportamenti calmano il dolore solo per un po’; dopo di che lo stress si ripresenta e torna la voglia di autolesionismo.

Ricerca di attenzione o ricerca di attaccamento?

Come genitori, amici, insegnanti, coniugi, facciamo del nostro meglio per dare un senso a chi compie atti di autolesionismo. Possiamo naturalmente vedere in queste condotte un modo per attirare l’attenzione; e quindi possiamo ignorarlo, minimizzarlo o criticarlo, o peggio deriderlo.

C’è un altro modo, più compassionevole ma anche più efficace, di vedere e comprendere l’autolesionismo, vederlo come una ricerca di attaccamento.

Un passaggio fondamentale nello sviluppo di un bambino è imparare a regolare le emozioni. Il bambino lo fa con l’aiuto delle figure di attaccamento (genitori, care – giver, altre persone chiave) che regolano i suoi sentimenti al suo posto. La teoria dell’attaccamento ci ha mostrato che gli individui che non padroneggiano abbastanza l’abilità della regolazione emotiva quando sono piccoli (a causa dello stress familiare, dello stile genitoriale, del temperamento, dei problemi di salute e così via) trovano altri modi insicuri per portare le loro figure di attaccamento vicino a sé. Alcuni individui nascondono le loro emozioni e quindi tengono gli altri vicini perché non “non ci sono problemi”; altri possono far conoscere i loro bisogni a gran voce, e questo tiene vicini gli altri perché cercheranno di rispondere alla crisi.

Cosa c’entra tutto questo con l’autolesionismo? Il self – harming è un comportamento di ricerca di attaccamento. Per gli autolesionisti che si procurano danni senza mostrarli, il “tagliarsi” regola le emozioni e tiene allo stesso tempo a distanza gli altri con la gestione in solitudine del proprio dolore mentale; questa è la strategia più sicura per questi adolescenti e giovani adulti. Per gli autolesionisti “aperti”, che mostrano ciò che fanno, la sicurezza viene dal fatto che gli altri si occupano di loro, sia attraverso l’accudimento che attraverso le critiche. Una manifestazione di attenzione, di qualunque tipo sia, è meglio di nessuna attenzione.

Mentre l’attenzione può essere una conseguenza dell’autolesionismo, lo scopo è quello di regolare le emozioni e/o di avvicinare gli altri, al fine di soddisfare un bisogno emotivo non soddisfatto.

Quindi che si fa?

L’esperienza di lavoro con persone che si auto – danneggiano ci ha mostrato che minimizzare, ignorare o criticare la persona non funziona. In effetti, fanno peggiorare la situazione! Queste risposte, anche se basate sulle migliori intenzioni, aumentano la vergogna e il disprezzo di sé nella persona che si taglia, il che aumenta la sua voglia di farsi fisicamente del male.

Invece collegare e riflettere. Cercare di connettersi emotivamente – mostrare al ragazzo o alla ragazza che siamo interessati a lui; mostrargli che ci siamo. Allora e solo allora, si potrà aiutarli a capire cosa accadrà loro. Ecco alcuni consigli:

  1. Parlane. Fai loro sapere che hai notato; che sei interessato; che ti chiedi che cosa si sente al di là del danno fisico. Non lasciare che l’autolesionismo sia un “elefante in una stanza”.
  2. Mantieni la calma. L’ansia che proviene da te creerà più ansia in lui/lei. Queste persone hanno bisogno che tu sia costante, premuroso e non giudicante.
  3. Se non riesci a trovare le parole prova comunque a indovinare il bisogno emotivo che sta dietro l’autolesionismo. Offri il tuo “linguaggio dell’amore”, che sia un abbraccio, accettazione, tempo insieme, parole gentili, atti di premura, rispetto.
  4. Mostra loro che li tieni nella tua mente anche quando non siete insieme.
  5. Aiutali a lavorare sul loro “grilletto”. Che cosa dà loro la voglia di autolesionismo? Prova ad elaborare insieme come si potrebbero ridurre i fattori scatenanti.
  6. Scegli con cura a chi parlarne. Gli altri sapendo possono portare vergogna, ma possono anche provare un senso di sollievo. Decidi insieme.
  7. Aiutali a trovare altri modi per far fronte al dolore mentale. Ci sono molti modi alternativi per regolare le emozioni. Lavora con loro per “testare” altre modalità di affrontare il dolore mentale, nella consapevolezza che la voglia di autolesionismo è difficile da abbandonare.
  8. Tieni d’occhio la sicurezza. L’autolesionismo non porta al suicidio; ma le persone che si suicidano hanno maggiori probabilità di essersi in precedenza tagliate o procurate volontariamente danni fisici. Incoraggiali a usare lame pulite e a curare le loro ferite. Assicurati di sapere cosa fare se sei preoccupato per la loro sicurezza, ad esempio come fare ricorso a servizi d’emergenza.

Che aiuto c’è là fuori?

Ci sono molte risorse online per le persone che si tagliano e auto – danneggiano e per i loro amici e familiari. Se la persona si sente pronta a trovare altri modi di affrontare il dolore mentale, allora la terapia psicologica è un valido aiuto. Il tipo di terapia dipenderà dal fatto che la persona abbia o meno anche un problema di salute mentale; ma l’obiettivo principale della terapia sarebbe quello di aiutarli a regolarsi emotivamente senza bisogno di autolesionismo.

Ogni vostro commento sarà gradito e di aiuto - Fiorenzo Ranieri