Hikikomori: isolarsi e vivere chiusi dentro una stanza

Elisabetta Bellagamba & Valentina Di Chiara

Il termine Hikikomori è stato utilizzato per la prima volta alla fine degli anni ‘90 da psichiatri giapponesi per definire un nuovo fenomeno che stava diventando sempre più diffuso: l’isolamento di alcune persone dal proprio contesto sociale.

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Che cosa vuol dire Hikikomori?

Il termine Hikikomori, di origine giapponese ma utilizzato di recente anche nel contesto italiano, può essere tradotto con “stare in disparte”, ed indica i ragazzi che si isolano nella propria camera ed interrompono ogni rapporto, sia all’interno della rete amicale che familiare. L’isolamento di questi ragazzi solitamente inizia durante l’adolescenza e può protrarsi per anni andando di conseguenza a compromettere la carriera scolastica e lavorativa con varie forme di gravità. I primi segnali del fenomeno sono riscontrabili a partire da continue e prolungate assenze scolastiche, dall’allontanamento da ogni attività ed interesse tipico dell’età, fino a giungere ad un vero e proprio isolamento nel quale il ragazzo si chiude rispetto agli altri e sceglie solo i momenti nei quali è sicuro di non incontrare nessuno per uscire, ad esempio la notte. Affinché sia possibile utilizzare tale terminologia, è necessario che il ragazzo viva in una condizione di ritiro per almeno sei mesi, e che nel suo percorso di vita non siano presenti problematiche riferibili alla sfera psichiatrica..

La cultura e l’individuo

Ad oggi in Giappone vengono contati oltre un milione di ragazzi che vivono questa situazione, ma si stima che il numero sia maggiore e non registrabile a causa della difficoltà culturale ad accedere ai percorsi di cura nell’area della salute mentale. Inizialmente questo fenomeno sembrava essere una conseguenza della cultura giapponese basata sull’efficienza, sul valore della comunità a scapito del singolo e sull’inibizione dei comportamenti non consoni al contesto. Nel mondo nipponico vengono richieste fin dalle prime esperienze scolastiche, prestazioni impeccabili che, se non soddisfatte, rischiano di compromettere la carriera del giovane fin dai suoi primi passi. Il giovane può così finire con il sentirsi schiacciato e senza possibilità alcuna al di fuori dell’isolamento. La presenza del fenomeno Hikikomori anche in atri paesi con differenti abitudini socio-culturali, lascia invece pensare che si tratti di una forma di disagio che va a toccare principalmente la sfera individuale del soggetto. Oltre alla cultura di appartenenza sembrano esserci altri elementi che caratterizzano i ragazzi Hikikomori. Vengono infatti riscontrate esperienze di bullismo e di derisione da parte dei compagni e caratteristiche di timidezza e vergogna proprie dei ragazzi.

La famiglia

Le famiglie giapponesi di questi ragazzi sono state descritte come appartenenti ad un ceto medio – alto, con un padre occupato in lavori dirigenziali ed una madre legata al figlio in un rapporto caratterizzato da una forte dipendenza. L’appartenenza ad una famiglia benestante può portare questi ragazzi a sentire una forte pressione e grandi aspettative verso la realizzazione professionale. L’assenza del padre, solitamente anche fisica a causa di questioni lavorative, sembra non permettere al figlio di compiere esperienze importanti per la promozione della propria autonomia ed indipendenza. La funzione del padre non è infatti solo quella di dare regole e limiti, ma di spingere il figlio verso l’esterno ed una propria realizzazione. Al ragazzo resta un rapporto fusionale con la madre nel quale la propria individualità non sembra trovare spazio.

Cosa fare

Non essendo rintracciabile un’unica causa scatenante per gli hikikomori, non è possibile identificare un’unica terapia efficace, ma occorre un lavoro congiunto tra più professionisti e strutture. A causa delle difficoltà che questi ragazzi provano nell’affrontare il mondo reale e nel costruire legami sociali e di amicizia, un utile sostegno per promuovere un contatto con il mondo fuori dalle loro mura, può provenire da internet. Diversamente da come si può immaginare, l’uso del web non è la causa della reclusione e non si è di fronte ad una dipendenza da internet, ma può invece diventare un mezzo per entrare in contatto con i ragazzi e convincerli a recarsi nei centri di intervento per iniziare un percorso terapeutico. Oltre ad un percorso per il ragazzo è molto importante dedicare uno spazio alla famiglia al fine di sostenerla in questo delicato momento.

Ogni vostro commento sarà gradito e di aiuto - Fiorenzo Ranieri