Il ragazzo hikikomori – un racconto

Fiorenzo Ranieri

L’avvocato Marzi guida e rimugina sulle due udienze perse per accompagnare Marco. La collega di studio lo sostituirà, certo, ma non è lo stesso. Marzi dà un colpetto sulla coscia del suo cliente.

  • Tranquillo, non ti voglio con quella faccia. È un punto a sfavore se ti sentono impaurito.

Marco si rigira dall’altro lato, a guardare i passanti sul marciapiede. Stringe un labbro con i denti, non vuole essere visto. “Faceva così anche da piccolo” pensa Marzi, “almeno bestemmiasse”. È affezionato a quel ragazzo, specie da quando ha perso il padre, Sergio, un amico vero.

  • Guarda se intravedi un parcheggio.

Beccarne uno a quest’ora fra gli uffici della Regione e il Catasto è quasi un miracolo. Trovano posto incastrando il BMW tra una utilitaria e un bidone della spazzatura. Una manovra millimetrica. Scendendo Marco apre bocca per dire:

  • Pensavo avresti graffiato.
  • Spicciamoci, non voglio arrivare in ritardo,

risponde spiccio l’avvocato, comunque inorgoglito per quello che gli sembra un complimento.

La sede dell’Ordine degli Psicologi è in una palazzina anonima, un appartamento tra i tanti, con il vantaggio di avere nei paraggi alcune fermate degli autobus e la stazione della Metro. I due salgono a passo svelto le rampe di scale fino al secondo piano. Marco e l’avvocato condividono la fobia per gli ascensori, ma ognuno dei due ignora questa piccola debolezza dell’altro. Alla porta d’ingresso Marzi pigia il pulsante del campanello. Sono in anticipo, un impiegato li accoglie indirizzandoli in una saletta d’attesa. I divanetti in stoffa ruvida sono un po’ scomodi, Marco si accuccia in un angolo, mentre l’altro comincia ad andare su e giù, dalla porta all’unica finestra. A vederli sembrano padre e figlio.

Quando la stanza è stata arredata qualcuno ha pensato di aggiungere un orologio da parete. Anonimo, stile Ikea. Forse proprio un modello Ikea, a giudicare dai divanetti.

  • Nove e quarantaquattro. Ancora un quarto d’ora. Se sono puntuali.
  • Voialtri non siete sempre puntuali?

Anche Marzi ha assaggiato lo psicoanalista molti anni prima e ancora ricorda i commenti per cinque o peggio dieci minuti di ritardo.

  • Nanni smettila di andare su e giù, mi innervosisci!

L’avvocato si siede, un po’ controvoglia. Si rialza per raggiungere il divanetto di Marco. Sta per ripartire con le raccomandazioni ma Marco lo ferma con un cenno di mano.

  • Ti prego no, so già tutto.

Si zittiscono per due o tre minuti, poi Marzi dichiara all’improvviso:

  • Appena è finita ti porto a pescare a Frecine, con la barca!

Marco lo guarda sorpreso.

  • Ma lo sai che stavo pensando la stessa cosa?
  • Come quando ci andavo con tuo padre. E qualche volta sei venuto anche tu, quando avevi nove o dieci anni.
  • Me lo ricordo. Una volta uscimmo presto con il gozzo. Ci fermammo lontano dalla spiaggia. Tu e papà usavate le lenze, io mi ero portato una canna da pesca piccola che papà aveva comprato e non aveva usato mai. Non prendevate niente, io all’improvviso tirai su una occhiata, bella, non riuscivo ad afferrarla, sbatteva a destra e a sinistra.. non ricordo se me la acchiappasti tu o papà. Poi papà disse che la canna serviva a lui e mi diede la lenza. Ci rimasi male. Due minuti e tirai su un’altra occhiata. Ero dal lato giusto della barca.

*** – ***

  • Ma quanti anni ha?
  • Praticamente un giovanotto.
  • Sì.. ma ha curriculum. Tutte le carte in regola.

Silvia Pasciutti lancia uno sguardo alla giovane psicologa che le dà le spalle, indaffarata a raccogliere fogli e documenti sul tavolone delle riunioni. La chiusura vintage della collana è del tutto adeguata al vestitino fantasia. Come la professionista del resto, scrupolosa in ogni impegno. Pasciutti ha imposto la collega al momento delle elezioni, e ha visto giusto: Luana Mannelli si è rivelata come una delle più efficienti consigliere dell’Ordine. Brava soprattutto in commissione disciplinare.

  • Le porto un caffè?

Aldo Moretti non smette di dare del lei alla Pasciutti dopo quasi due mandati da consigliera. La distanza tra amministrativo e membro del Consiglio può essere superata d’un balzo, ma non con lei, che rimane la “professoressa”.

  • Bravo Aldo, mi hai letto nel pensiero. Tu Luana?
  • No grazie, sono già a due e siamo appena alle 10..

Moretti torna svelto dalla stanzetta che fa da cucinotto.

  • Stamattina una sola pratica. Professoressa, che dice, per le undici finiamo?
  • Aldo non lo so, sembra una cosa complicata. Per questo non abbiamo altri appuntamenti.

L’amministrativo lancia uno sguardo interrogativo alla dottoressa Mannelli che si limita a scuotere la testa e storcere un po’ la bocca per essere più chiara.

  • Ho capito, tanta roba. Ho visto che non è venuto solo.
  • Credo che l’accompagni l’avvocato.

Aldo sistema due sedie accanto al tavolone dal lato della porta di ingresso. Dall’altro lato le sedie sono già pronte. La sua è di lato, distanziata quanto. Un amministrativo è solo uno spettatore neutrale.

  • Luana, hai già letto tutto immagino.
  • Letto e riletto. Lei prof?

“Ha letto tutto e ha capito tutto” si dice Pasciutti, “e magari ha anche già deciso”. La donna si rigira sulla sedia con qualche dolore alla schiena. Vorrebbe sollevare almeno una delle sue caviglie gonfie e appoggiarla da qualche parte. Ma non può, lì, in commissione disciplinare, cinque minuti prima di iniziare. Le viene in mente la sorella, a casa col marito carabiniere in pensione. “E non ha neanche le gambacce gonfie!”. Luana si avvicina tanto da poter sussurrare:

  • Accosto una seggiola e solleva la gamba, non se ne accorge nessuno.

La professoressa si tira su appoggiandosi al bastone da passeggio, sbuffa una mezza protesta, poi fa cenno di sì borbottando

  • Capisci sempre tutto tu..

Il fascicolo è aperto sul tavolone con gli allegati in sequenza. Aldo ha già preso posizione, Luana ancora in piedi per gli ultimi dettagli, alla ricerca di una misura estetica tra i documenti.

  • Ecco, ora possiamo farli entrare,

dichiara alla fine, fiera dopo l’ultimo controllo.

*** – ***

Un attimo prima che l’iscritto da interrogare entri chissà per quale motivo alla professoressa Pasciutti viene in mente l’immagine di un cinghiale. Non un cinghiale qualunque, ma quello che, più o meno al tramonto, è passato qualche giorno prima nel campo di fronte alla sua villa di campagna. Silvia Pasciutti era sulla terrazza e ha visto il cinghiale venire avanti trotterellando. Poi l’animale si è fermato e ha rigirato il capo. Per una manciata di secondi c’è stato uno scambio di sguardi, senza spavento o sorpresa. Il cinghiale ha poi proseguito quella che pareva una passeggiata, la donna è rientrata per la cena.

Luana Mannelli ha il compito degli onori di casa. Fa accomodare l’iscritto (“prego dottor Sica, si sieda pure qui”) e il suo avvocato. Chiede se i due gradiscano un caffè e quando l’avvocato Marzi risponde per pura cortesia: “Sì, volentieri”, la dottoressa fa un cenno ad Aldo, aggiungendo: “Uno anche per me, grazie”. Il protocollo “contesto accogliente ed amichevole” eseguito alla perfezione.

“Non mi sembra un cinghiale” si dice la professoressa Pasciutti guardando quello che per lei è un giovane psicologo. Piuttosto Marco Sica le ricorda, con quei capelli biondi riccioluti, il paggio di una qualche rievocazione storica da medioevo immaginario. Pelle liscia e ben rasata, occhi chiari.. la comparsa di un film di Zeffirelli, pancetta a parte.

Ora tutti hanno preso posizione. La dottoressa Mannelli si occupa dei passaggi introduttivi, presentando la commissione, raccogliendo le generalità e riassumendo per sommi capi la procedura. Cita a memoria il regolamento dell’Ordine, interi capoversi dell’articolo “istruttoria preliminare”. Lieve e leggiadra, ricorda che il loro compito è quello di condurre una “istruttoria preliminare per verificare se ricorrono per l’apertura di un procedimento disciplinare”. Con un sorriso comunica che sono stati già sentiti sia la persona che ha inoltrato l’esposto all’Ordine, sia altri informati sui fatti, e che ogni documentazione acquisibile è già stata acquisita.

Nanni avvocato ha prefigurato a Marco i primi passi di questa partita a scacchi. Mosse di apertura: Gambetto di donna, Difesa est indiana, Partita spagnola.. Da come cominciano si può intuire dove vogliono andare a parare. Marco è l’ultimo ad essere ascoltato in questa vicenda. Forse è già tutto deciso. L’avvocato scambia uno sguardo con il suo giovane amico attento a non mostrare nel gioco di pupille il filo d’angoscia che gli sta prendendo la gola nonostante tanti anni di mestiere.

Ma Marco è già più in là. Osserva gli scialbi quadri alle pareti, il mobilio semplice e istituzionale, la bandiera italiana che pende sbilenca in un angolo. “Hemingway, Death in the afternoon, il toro entra per la prima volta nell’arena. È ingenuo, non sa nulla. Il torero e la sua cuadrilla sanno tutto e lo portano a morire”.

Prende la parola la consigliera anziana seduta di fronte a Marco. Ha occhi stanchi che sembrano aver visto un po’ troppe cose. Marco ricorda di averla già incontrata chissà dove, un contatto rimosso, non si è mai occupato di faccende istituzionali. Si rivolge poi alla giovane consigliera puntuale e gentile, professionale e dedita alla causa. Cerca di capire di chi avere paura.

Silvia Pasciutti, visto che la genuflessione alla macchinetta del caffè è stata fatta, decide che si può andare avanti con la funzione.

  • Allora dottor Sica, siamo qui per ascoltare il suo punto di vista sull’esposto della signora Brunacci che ha richiesto un procedimento disciplinare nei suoi confronti.

Pausa, un sospiro, attenta agli occhi del giovane collega. “Mi guarda, niente sorpresa niente spavento”.

  • La procedura l’ha già illustrata la nostra collega. La signora in estrema sintesi la accusa di inosservanza dei suoi doveri professionali, negligenza, imprudenza e imperizia, e sostiene che la figlia Ada ha ricevuto gravi danni a causa del suo operato. Questa è la parte più chiara dell’esposto. Vi sono poi altre accuse che riguardano il danno ricevuto dalla signora stessa. Brunacci sostiene che a causa sua è rimasta sola, abbandonata dal marito, dalla figlia e.. sì, anche dal figlio Mirko.

Altra pausa, questa volta per decidere il tipo di partita. Gambetto di donna.

  • Mi sono domandata più volte, dopo aver letto i documenti, cosa le avrei chiesto. Sono arrivata alla conclusione che potrebbe raccontarci tutto dal principio. Non ho intenzione di porle domande specifiche se non è strettamente necessario. Dunque, ci dica, come è arrivato qui da noi?

*** – ***

C’è sempre un fremito quando sul display dello smartphone compare la chiamata da numero sconosciuto. Come essere fermato per strada da uno qualunque, in una frazione di secondo tocca decidere se tirare dritto, voltarsi con una espressione garbata sul viso o disegnarsi addosso una faccia infastidita per chiudere la conversazione in un momento.

Le due e tre quarti di un sabato pomeriggio. Il cellulare vibra. “Ora no, però”. I riti del sabato sera prevedono il sonnellino pomeridiano, specie da quando Marco ha superato i trentacinque. Uno sguardo veloce allo schermo, poi una autogiustificazione per lasciar morire il cellulare con lo spasmo di un ultimo tremito. Lo psicologo abbassa ancora un po’ il volume del televisore trasformando la voce del giornalista sportivo in una nenia conciliante.

Il cellulare riprende a squillare quasi con più vigore.

  • Pronto?

Espressione cortese ma concisa. Sbadiglio occultato in un angolo della gola.

  • Dottor Sica?
  • Sì, buongiorno.
  • Mi chiamo Prisco. Buonasera. Ho chiamato per un appuntamento. Disturbo?

Gocce di adrenalina rapide, sguardo tornato vigile.

  • Dica pure.
  • Lei è uno psicologo, giusto?
  • Sì, sono uno psicologo e uno psicoterapeuta. Signor Prisco, vuole un appuntamento per sé?
  • No, non proprio..
  • Vede, il suo numero me l’ha dato mia figlia.
  • Sua figlia ha bisogno di uno psicologo e le ha chiesto di chiamare per fissare un..
  • No, non è per mia figlia. La ragazza è preoccupata.. e ha ragione.. Ma non si tratta di lei.
  • Forse mi può aiutare a capire meglio.
  • Sì, certo! Certo. Dunque, Ada, mia figlia, va tutto bene, va a scuola, l’anno prossimo inizia il liceo.. Non ho chiamato per lei. Chiamo per
  • Ragazzo anche lui?
  • Sì. È quello più grande.
  • E vive con lei?
  • Sì. Cioè, Mirko è nella sua stanza, con la porta chiusa. Come se non ci fosse. C’è questa porta, ci passiamo davanti, ma è sempre chiusa. Mia moglie è l’unica che entra. Pensa a tutto lei. Ma Ada, perché ora Ada sta crescendo, le cose adesso le dice, vuole che ne parliamo, vuole che parliamo con qualcuno di Mirko, che si faccia qualcosa.
  • L’appuntamento allora è per Mirko.
  • . Lo dicevo a Ada. Non è possibile, che può fare un dottore? Ma Ada ha insistito.
  • Mi sembra di capire. Ci sono ragazzi che a volte decidono di allontanarsi da tutti, di chiudersi nella loro camera interrompendo i rapporti con il mondo esterno, gli amici, la scuola, alcuni anche con i familiari. Probabilmente lei non parla con Mirko da tanto tempo.
  • Da quello che mi dice pare che Mirko abbia un periodo di profondo ritiro sociale. Penso sia difficile allora che il ragazzo venga da me.
  • No no, impossibile.
  • A proposito, è minorenne?
  • No, ha diciotto anni e mezzo, grosso modo.
  • È il primo tentativo che fate?
  • Sì, assolutamente il primo. Ada dice che non si può andare avanti così. Io ho letto che lei è un dottore che si occupa di ragazzi che rimangono chiusi in una stanza.
  • Sì, ragazzi in ritiro sociale. C’è una parola giapponese che va di moda per chiamarli, hikikomori. Senta signor Prisco, sua moglie è informata di questa telefonata?
  • No, non le ho detto niente. Non vuole che si parli con nessuno di Mirko. Credo che si vergogni.
  • Va bene, guardi, ho lavorato con molte famiglie in difficoltà come la sua. Non creda, di situazioni così purtroppo ce ne sono tante. Quando il ritiro è troppo “forte”, diciamo così, chiedo ai genitori di venire e di cominciare a lavorare insieme. Ma per fare questo deve parlarne con sua moglie. Dovreste venire insieme.
  • Ma lei nemmeno lo sa che ho chiamato.
  • Da un punto dobbiamo pur partire. Racconti a sua moglie di questa telefonata, dica che si sente preoccupato, che siete tutti preoccupati. E dica a sua moglie che le ho consigliato di incontrarci, anche solo per uno scambio di punti di vista, anche solo per capire meglio come stanno le cose.
  • Ci posso provare.
  • Ci può provare. Potremmo sentirci allora, diciamo.. aspetti guardo l’agenda.. ecco potrebbe chiamarmi martedì mattina alle 11. Può scrivere?
  • Sì, sì posso scrivere.
  • Ecco prenda questo appunto, martedì 7 febbraio ore 11 chiamare il dottor Sica. Mi chiami anche se non ha parlato con sua moglie e anche se le ha detto di no.
  • Lo farò. Sicuramente! Grazie dottore, grazie..
  • Aspetto la sua chiamata martedì.
  • Chiamerò. Mi scusi l’orario.
  • Buona serata.

Marco stringe il pugno mentre mette via il cellulare. Già immagina la faccia del ragazzo, come va su e giù tra le sue quattro mura, come brucia il tempo attaccato al computer. È eccitato ora, continua a strofinarsi i polpastrelli e il palmo delle mani mentre fantastica sul primo incontro con questa coppia. I pensieri vanno a cascata, anche troppo per una sola telefonata. Quasi impossibile appisolarsi. Si ferma, va giù sul divano, cerca un pensiero rilassante, qualcosa di statico e sereno che lo trasporti da qualche parte. Ma niente. Allora lo psicologo decide per un caffè con la moka per poi uscire e fare due passi.

*** – ***

  • Scusa Marco se ti interrompo, ma vorrei sottolineare questo passaggio alla commissione. Tre settimane, quasi un mese di colloqui telefonici del dottor Sica con il signor Prisco e nessun appuntamento presso il proprio studio.
  • Sì avvocato, abbiamo capito che in quelle settimane i contatti telefonici furono prevalentemente finalizzati a rendere possibile un incontro del collega con il signor Prisco e la moglie, la signora Brunacci.
  • Mi pare evidente che il mio cliente era orientato ad ottenere in primo luogo la disponibilità al programma terapeutico che andava predisponendo. E dunque il primo colloquio con la coppia costituisce di per sé un consenso al trattamento.

Aldo Moretti dal suo angolo di tavolo cala la testa con un sorrisetto sulle labbra. Quanti ne ha visti di psicologi che avevano iniziato a incontrare i pazienti senza far compilare la modulistica! Per lui un peccato lieve, da ammonizione o censura. Ma si sa, non ha voce in capitolo.

  • Mi scusi avvocato, lei starebbe sostenendo che il primo colloquio con la coppia andrebbe considerato come sostitutivo della compilazione del modulo per i consensi informati alla prestazione e al trattamento dei dati personali?

Nella voce di Luana Mannelli sorpresa, disgusto e condanna si mischiano con un effetto unico che ha la parvenza di qualcosa di naturale. Come la reazione ad una notizia inattesa, capace di scuotere il ritmo preordinato della giornata portando emozioni indesiderate. Moretti copre la bocca con la mano in modo che la risata soffocata non si veda. Trova irresistibile la messa in scena della dottoressa, ripetuta ogni volta che i suoi sacri moduli vengono ignorati.

  • Ma c’è giurisprudenza di merito! Il Consenso, quando non acquisibile diversamente lo è per comportamenti concludenti! È un atto legittimo in sé, basta che l’acquisizione sia dimostrabile e noi siamo in grado …

Anche Silvia Pasciutti sorride a denti stretti: “Alla fine lo cancelliamo dall’Ordine per un modulo!”. Mannelli si rivolge direttamente a Marco Sica.

  • A quanto sembra quelle telefonate se le è fatte pagare.
  • Sì, emisi una fattura, quanto per una seduta.
  • E però non aveva inviato un modulo per il consenso informato al signor Prisco, ad esempio via email.

La ginocchiata dell’avvocato prende Marco alla sprovvista, costringendolo a girarsi di scatto. Lo psicologo poggia la mano sulla rotula di Nanni per evitare un altro colpo.

  • Me lo aveva chiesto Prisco, mi disse che stava prendendo tanto del mio tempo, e che era giusto fossi.. che mi pagasse.

Silvia Pasciutti picchia leggermente sul tavolo con il manico del bastone per frenare la Mannelli, pronta ad affondare i denti nella carne viva. Questo ragazzo comincia a piacerle e non lo vuole a pezzi sul tavolo riunioni dell’Ordine. A meno che non sia veramente necessario.

  • Mi scusi, ma come mai ha insistito tanto, perché ha cercato in tutti i modi di arrivare a questo incontro con la coppia? Era evidente che la signora Brunacci non voleva.

*** – ***

  • Marco, è evidente che la moglie non vuole venire da te. Ma che insisti?
  • Lo so, l’ha detto pure Malaguti.
  • A beh, se lo ha detto Malaguti..

Marco rigira nel piatto gli ultimi brandelli della sua insalata, sbirciando con invidia quel che rimane della pizza di Sara. La sua donna se ne accorge e col coltello ne spinge una fetta verso di lui.

  • Dai assaggia.
  • Se la volevo la prendevo.
  • Vabbè, fai un po’ come ti pare. T’avverto, io la finisco.

Sara la fioraia, modi spicci, cose belle sistemate con le mani. Trionfo del visuo – percettivo. Passa un cameriere svelto, diretto ad un altro tavolo, al volo propone:

  • Che dici Marco, un dolcino dopo?
  • Ma siete una potenza!

Sara subito:

  • Pure te Marco però.. e la dietista, e il supervisore, ma rilassati!
  • Intanto stavolta anche se Malaguti mi ha detto di mollare io sto continuando.
  • E per una volta sono d’accordo col grande professore.. Te l’ho detto che l’altro giorno m’è venuto in negozio? L’ho riconosciuto subito a furia di sentirtelo nominare. Tranquillo, ho fatto la brava. Però ero curiosa. Così con la scusa del biglietto ho chiesto per capire se era proprio lui. Ma lo sai che si intende di fiori? Più di te di sicuro. Che poi c’è più gusto a preparare una composizione quando hai davanti uno che apprezza. Mica me lo hai mandato tu?
  • Forse sì, qualche volta ti ho nominata. Sa chi sei e che fai.
  • Perché il professore t’ha detto di mollare?
  • C’è qualcosa che non gli torna in tutta la storia. Poi ha detto che maggiori solo le resistenze, maggiori sono le angosce. E che per andare a scoperchiare un vespaio bisogna essere molto ben attrezzati, coperti come un apicoltore e anche di più.
  • Chi capisce i fiori capisce la vita! Bella, la posto subito su Facebook.

Il cameriere ora è libero, con blocchetto in mano.

  • Allora questo dolcino?

Sara fa gli occhi teneri.

  • Se lo prendi tu lo prendo anch’io.
  • Va bene dai.
  • Finalmente! E allora stasera..

Il cameriere per un momento li vede, Marco e Sara, avvinghiati in un sesso trionfante. Si ferma e scrive

  • Rose di sfoglia ananas e mascarpone, e poi.. una fetta di torta caprese. Arrivo subito.
  • Dopo due caffè e il conto.

Gli grida Sara, che ora ha voglia di uscire e andare a spasso.

*** – ***

  • Sono stato nel negozio della sua compagna tre giorni fa.
  • Sara me lo ha detto. Spero non sia stata petulante.
  • No, affatto, è stata molto gentile. Poi ama i fiori, ed è competente. Ma veniamo a noi. Mi hai scritto che voleva parlare di Prisco e della sua famiglia.
  • Ho avuto un altro contatto telefonico. Ho bisogno di parlarne.

Malaguti assesta il corpo sulla poltrona, avendo cura di rigirare il suo lato sinistro verso Marco. In quel modo ci sente meglio, anche se a tratti ha comunque bisogno di accartocciare il padiglione dell’orecchio con la mano.

  • Ho l’impressione di dover iniziare un viaggio e invece sono sempre fermo alla stazione. Quest’uomo non parla con la moglie e meno che mai con il ragazzo.
  • Parla con la figlia che lo sprona di continuo. Come sta facendo lei. Ha trascritto la conversazione?
  • Sì.

Marco porge a Malaguti un paio di fogli A4 fitti di frasi. Comincia a leggere.

“Mi saluta, sembra cordiale, felice di sentirmi. Chiedo come vanno le cose. Mi chiede a sua volta: “in casa?”. Rispondo “In generale”. Mi risponde sbrigativo: “Tutto più o meno uguale. A mia moglie non ho detto niente. Ada ora per protesta quando rientra a casa a stento mi saluta”. Chiedo allora: “E a lei come vanno le cose?”

  • Qui ho sentito che il tono della voce è cambiato, è diventato caldo.

“Io.. ho pensato a quello che mi ha detto l’altro ieri. Ha ragione sa? Non sempre possiamo avere la forza per affrontare tutto. Questa situazione è pesante. A volte mi sento confuso. Tanto confuso. Quasi non riesco a distinguere la fantasia dalle cose vere. Vorrei che tutti stessero bene, felici, non mi importa come. Mia moglie, mia figlia..”

  • Qui sulla presentazione ho riassunto, mi ha tenuto per dieci minuti buoni con frasi così. Non parlava di niente. Uno sfogo, ma sentivo che ne aveva veramente bisogno.
  • Quest’uomo sta male, ha bisogno di essere ascoltato, di uno spazio per sé. E ha scoperto che lei può essere lo spazio mentale che lo accoglie. Penso che sia per questo che non dice nulla alla moglie e non fa passare la proposta di un incontro.
  • Che vuole dire?
  • Che quest’uomo se seguisse le indicazioni che gli ha dato perderebbe il suo spazio, questo buon orecchio che ha trovato per caso e che lo ascolta. Così rimanda, tergiversa, trova scuse. Più lo fa più la figlia si arrabbia. E anche lei.
  • Io?
  • Sì, mi sembra dottore che si sia identificato con Ada e con le sue angosce, al punto di non sentire quelle del signor Prisco. Desidera in tutti i modi che quella porta venga aperta, che la luce si sostituisca all’oscurità.
  • Non è forse il nostro lavoro? “Nessuno si illumina immaginando figure di luce, ma rendendo cosciente l’oscurità..”
  • Sì, ma ricordi che la consapevolezza non è un colpo di teatro. Quando Pandora scoperchia il vaso ricevuto da Zeus a patto di tenerlo sigillato, tra i mali che ne fuoriescono c’è la Pazzia. E solo poi, immagino con fatica, Pandora riapre il vaso consentendo alla Speranza di trovare posto nel mondo. Se vuole aprire quella porta dovrebbe sapere anche come portare speranza in questa famiglia.

Marco rimane in silenzio. Malaguti si rigira in poltrona, guarda un angolo del soffitto, accavallando l’altra gamba. Sembrano due in preghiera, nel silenzio difficile capire se adorano lo stesso Dio. Marco sospira lieve, ricorda un rumore, la porta d’ingresso della casa di casa sua, di quando era piccolo, che si apriva. Anche se era a letto immerso nel buio distingueva quel rumore lontano, con il padre appena rientrato che rigirava la chiave nella toppa della serratura e incastrava il gancio del blocca porta. Solo a quel punto poteva dormire, quando la porta era chiusa e tutti erano al sicuro.

  • Dovrebbe dirglielo, altrimenti non ne esce.
  • Dirgli cosa?
  • Che ha capito quanto ha bisogno di essere ascoltato, e che non rimarrà solo, che ci sarà sempre uno spazio per lui. Ma in quella casa tutti stanno male, e il dolore degli altri non fa che aumentare il dolore di quest’uomo.

*** – ***

  • Quindi alla fine il signor Prisco e la signora Brunacci vengono da lei. Ma non mi ha ancora spiegato perché riteneva così importante questo incontro.
  • Per molti motivi. Intanto avevo bisogno di avere più dettagli sulla famiglia, sulla signora, sui rapporti che esistevano in casa. Poi volevo indagare sulla possibilità di incontrare di persona Mirko e chiarire se l’unica possibilità che avevo era collaborare con la coppia.
  • Non è un approccio usuale.
  • Ne sappiamo poco e niente sugli hikikomori, anche se sono migliaia, forse decine di migliaia.
  • Quindi lei aveva in mente di lavorare solo con i genitori nel caso fosse stato impossibile incontrare Mirko. Ho capito bene?
  • Sì, più o meno. Ho avuto diversi ragazzi in trattamento, alcuni sono arrivati dopo aver avuto colloqui con i genitori per due o tre mesi. In un paio di casi invece non ho mai incontrato i ragazzi, ho continuato ad avere sedute con i genitori, mentre il figlio o la figlia cominciava ad uscire dalla stanza, poi dalla casa, e pian piano abbandonava la vita da eremita della camera da letto.
  • Dunque non rientrava tra i suoi programmi l’utilizzo di un operatore che andasse a domicilio, un educatore o qualcosa del genere.
  • No, ho provato anche questo ma è sempre stato un fallimento. Forse non ho trovato l’operatore giusto. Immagino debba essere molto preparato.
  • Così cosa accadeva realmente in quella casa le era sconosciuto.
  • Sapevo quello che mi raccontavano i genitori.
  • E cosa le dicevano?
  • All’inizio quasi niente.

*** – ***

  • Professore, c’è l’intero colloquio della coppia parola per parola. Non manca una virgola!

Malaguti rimane in silenzio, nella mano destra i fogli A4 stampati di fresco. Marco Sica ha fretta, come un tizio entrato in un bar per un caffè da buttare già di corsa e scappare via. Lo psicologo guarda i fogli più che il suo supervisore, pare dover controllare che ogni riga sia al suo posto e che tra le parole non ci siano errori d’ortografia. Il supervisore rimane in silenzio aspettando che il collega si acquieti. Nell’attesa gli ritorna in mente un tramonto di molti anni prima, ammirato da un ampio balcone in riva al mare. Malaguti era stato invitato da un conoscente e sul terrazzo aveva trovato persone di cui non sapeva nulla, salvo che erano appassionati allo spettacolo del tramonto. Nei primi minuti non aveva fatto altro che guardare i diversi ospiti, leggermente in imbarazzo in un gruppo in cui tutti si conoscevano. Poi il tramonto lo aveva catturato ed era sprofondato nella sua poltroncina, avvinto dalla bellezza come gli altri.

  • Facciamo una cosa.
  • Oggi non leggiamo.
  • Ma come?

Marco aveva trascorso la serata a lavorare alla presentazione, con sforzi enormi per non tralasciare nulla.

  • Sì, mi racconti tutto liberamente, affidiamoci alle emozioni.

*** – ***

  • Insomma, com’è questa grande donna?
  • Che dire.. Te ci parli e lei niente, manco ti guarda. Cioè, ti guarda, ma non ti vede.
  • Una cozza.
  • Come?
  • Proprio una cozza. Qualunque cosa dici rimbalza indietro. Che a te è una cosa che ti fa arrabbiare tanto. Ma fisicamente com’è?
  • Bassina, tondetta.. Non si tiene molto.
  • Una cozza in tutti i sensi.
  • Ma la smetti? Va bene ho capito. Non ti racconto più niente. Che infatti sbaglio. Non dovrei mai raccontarti niente.
  • Dai, non fare così.. Ti prego! Lo sai che tengo tutto per me.

Marco rigira tra le mani il catalogo della mostra appena visitata che non gli è piaciuta e che ha annoiato Sara.

  • Fermiamoci in un bel bar. Ho voglia di bere e di rilassarmi un po’.

Poco lontano dal palazzo della esposizione trovano posto nella saletta di un locale per turisti che in quella stagione è semi deserto. Sara prende una mano di Marco tra le sue e aspetta docile il racconto.

  • Sono arrivati puntuali, lui davanti e lei che lo seguiva. Li ho inviati a sedersi e per un momento mi è sembrato che la signora volesse rimanere in piedi pronta ad andarsene. Era chiaro che il marito ce l’aveva portata. Così ho cominciato a chiacchierare con lui e a tratti le lanciavo uno sguardo. Lei mi guardava come per studiarmi, ma quando mi giravo verso di lei distoglieva lo sguardo.
  • E il marito che diceva?
  • Discorsi un po’ così, niente di importante. Poi ho detto “mi sembra che la vostra famiglia sta attraversando un periodo difficile”. Allora la signora si è fatta rossa e gli occhi sono diventati lucidi. Ho pensato che si vergognasse ma anche che soffriva da morire. “Vogliamo provare a parlarne insieme? Il signor Prisco mi ha chiamato diverse volte, ma ancora non ho ben chiaro cosa sta succedendo a casa”. A questo punto siamo rimasti tutti zitti, aspettando che la signora aprisse bocca. E alla fine ha parlato. La prima cosa che ha detto mi ha proprio colpito. “Sono sicura che non posso essere capita”. Lui ha sospirato e mi sa anche io. “Lei sarà un dottore bravissimo ma quello che sento qui dentro non lo può capire nessuno” e si è toccata in petto. Siamo stati di nuovo zitti, poi ho ripreso il discorso: “A volte si può avere la sensazione che non esistono le parole per raccontare il dolore che si sta provando”. Lei si è scossa e ha risposto: “No, non ci sono le parole”. Poi ha subito cambiato tono e quasi fredda mi ha detto: “Lei dottore penserà che sono pazza. Forse sono veramente pazza”. Io dentro mi sono sentito gelare. Continuo: “So di vostro figlio Mirko, so che è chiuso nella sua stanza e che non esce da quasi due mesi. Deve essere molto doloroso per voi genitori”. “Mio figlio!” mi risponde, “È solo figlio mio!”. Guardo il signor Prisco per capire meglio, ma lui si rigira verso la moglie aspettando che sia lei a raccontare. Capisco che c’è qualcosa che non so. Qualcosa di grosso.
  • Per me Prisco ha sorvolato su un sacco di cose. Ha paura della moglie, e se lei non parla lui non racconta niente, al massimo si lamenta di quanto sta male. Oppure se ne esce tutto il giorno a lavorare.
  • Mi sa di sì. Comunque siamo di nuovo in silenzio, tutti e tre, poi alla fine chiedo: “Suo figlio?”. La signora mi guarda, ora pare stanca e quasi arresa, dice “Sì, mio figlio. Mirko è solo figlio mio. Donato non centra”. Donato è il marito.
  • Mirko non è figlio di Donato.. e Ada?
  • Stessa domanda che ho fatto di getto. Prisco mi ha risposto con un filo d’orgoglio: “Ada è nostra figlia”. Allora mi sono fermato e ho fatto rapidamente i conti. La signora ha avuto un bambino da una precedente storia, magari un matrimonio, insomma una relazione finita, poi ha lasciato il padre di Mirko, ha trovato Prisco, sono andati a vivere insieme e hanno avuto Ada. Alla fine di tutto questo bel ragionamento me ne sono uscito così: “Quindi quando siete andati a vivere insieme eravate in tre, voi due e Mirko”. E lì ho sbagliato.
  • Perché?
  • Perché la signora si è alzata e si è avviata verso l’uscita. Io sono rimasto come un baccalà, poi ho reagito e le ho quasi gridato: “Signora sono qui per sentire la sua storia. La aspetto la prossima settimana”. Lei si è voltata e ha fatto come un cenno di sì, allora Prisco ha pagato e mi ha chiesto la data dell’appuntamento, di corsa che la moglie era già all’ascensore.

*** – ***

  • La versione della signora Brunacci è un po’ diversa.
  • Diversa in che senso?

Interviene l’avvocato Marzi. Luana Mannelli si riprende subito, sarebbe dovuta rimanere zitta e mai e poi mai raccontare qualcosa dell’altra testimonianza.

  • Visto che ci siamo ce lo dica!

Insiste Marzi, quasi felice di cogliere in fallo l’inquisitrice.

  • Cinque minuti di pausa? Sapete, le mie gambe hanno bisogno di muoversi un po’. C’è un bar giù sulla destra di questa palazzina.

Appena Marco e l’avvocato varcano la porta d’ingresso Silvia Pasciutti fa un cenno alla collega. Mannelli accenna a delle scuse (“mi è scappato”), ma la professoressa ha altro in mente.

  • Comincio ad avere qualche dubbio.
  • Su cosa?
  • Più il dottore racconta e più mi chiedo che cosa avrei fatto al suo posto. Forse passo passo mi sarei comportata allo stesso modo.
  • Ma professoressa, il grosso deve ancora venire! E poi, io no, non avrei fatto le stesse cose. Per esempio in quel primo incontro sarei stata un po’ più formale. È una cosa che aiuta sempre.
  • Ma non hai capito? S’è giocato tutto sul filo del rasoio, un sottile filo di lana che si sarebbe potuto spezzare in qualunque momento. Invece la signora alla fine si è voltata e con un cenno gli ha detto di sì, che tornava.
  • Non era meglio se andava via e scompariva per sempre?

Silvia Pasciutti per un momento solo si chiede se la sua pupilla non sia uno dei tanti psicologi che hanno paura dei pazienti. Ma scaccia in fretta l’idea.

  • Mi porti per favore un bicchiere d’acqua?

Mentre Luana si allontanava la professoressa ripensa alla prima volta che ha incontrato un paziente. Era avvenuto tutto in un modo strano, in quella gran confusione che esisteva mentre era in corso la dismissione degli ospedali psichiatrici. Silvia Pasciutti si era appena laureata e aveva deciso di chiedere un tirocinio in uno dei centri di salute mentale nati da poco. Con il suo bravo foglio in mano era entrata in queste stanze fatiscenti recuperate per la psichiatria e aveva chiesto al primo che le era capitato dove doveva consegnare la domanda. Era un medico dallo sguardo strampalato che senza pensarci due volte le aveva indicato una stanza: “È arrivato un tale con la moglie. Ha voglia di fare esperienza? Bene, vai e parlaci”. Sarebbe dovuta scappare e invece era entrata. Ed era rimasta là un’ora, senza sapere che fare, inventando le parole per dare conforto ad un contadino scappato dai campi convinto che un satellite gli avrebbe spaccato la testa, visto che la radio ne aveva annunciato la caduta per il giorno dopo. Ripensandoci prova ancora vergogna e il rimorso per non essere stata utile a niente. Però ci aveva provato.

*** – ***

I viali corrono dritti verso Piazza della Vittoria. C’è meno traffico del solito, in una decina di minuti Prisco e sua moglie arriveranno a casa. Zitti entrambi, poi Prisco sospira.

  • Perché non gli hai raccontato la storia di Mirko?

La signora Brunacci strappa via una lacrima dal viso, la nocca dell’indice scava quasi un solco sulla guancia. I negozi a bordo strada sono ancora aperti e c’è gente che passa da una vetrina all’altra con l’aria di chi è senza pensieri.

  • Maddalena non mi dici nulla? Che ne pensi di questo dottore?
  • Non lo so, non so niente.

Altra lacrima, questa volta la gocciolina scivola giù senza ostacoli fino al mento e poi alla gola.

  • Non mi ci dovevi portare.
  • Non ti ci dovevo portare.. Allora rimaniamo così per sempre, tu con le lacrime ogni momento, io che me ne vado a lavorare per non pensarci.. E Ada, l’hai vista Ada?

Un singhiozzo forte, la signora prova a frugare nella borsa, Donato Prisco le passa un pacchetto di fazzolettini. Ancora un po’ di silenzio, una manovra facile per parcheggiare davanti al portone di casa, ma non scendono dalla vettura.

  • Vuoi che gliela racconti io la storia?
  • Sì, sì, fallo tu. Lo so, hai ragione su tutto, ma io non ho la forza. La prossima volta parla tu che a me riesce solo di piangere.

Quella notte Donato Prisco sogna. Non gli succede quasi mai, almeno così crede. Al mattino invece di stiracchiarsi interrogando muscoli e organi cavi per capire cosa gli ha portato il sonno, si ritrova con una immagine vivida che rimbalza tra gli occhi, anche quando, bello sveglio, è di fronte allo specchio per la barba. C’è il mare nel sogno, ma non un mare qualunque, così la visione appare più un ricordo ricucito in qualche modo che una invenzione notturna. Mura possenti di una fortificazione francese contrastano l’oceano, e le onde senza schiuma si sollevano come lenti sospiri che accarezzano i bastioni. Prisco osserva l’acqua grigia e la teme, pericolosa come le spalle palestrate di un bullo di periferia. Al sicuro nel tracciato di un camminamento Donato guarda le onde a contrasto con il cielo plumbeo della Normandia e dice convinto a se stesso che mai e poi mai vorrebbe trovarsi là, dove non c’è terra ma solo le profondità necessarie alle navi per prendere il largo. Proprio in quel momento spunta una testa dall’acqua e poi le braccia di un ragazzo che non nuota, non chiede aiuto, ma solo si diverte ad andare su e giù, sollevato dal movimento marino, certo che nessuna corrente lo schianterà contro le mura nere di muschio ed alghe.

*** – ***

Le onde lunghe raggiungono la spiaggia con pochissima schiuma. Sara a piedi nudi si diverte a saltare per evitare di bagnarsi mentre Nanni l’avvocato si tiene prudentemente più indietro, ad almeno due passi dal bagnasciuga. Procedono lentamente, godendosi la brezza della bella giornata d’aprile. Procedono con la voglia di parlarsi, senza la scintilla che dia avvio alla conversazione. Si fermano, puntano gli occhi all’orizzonte, poi indietro, alla villetta dell’avvocato dove Marco è rimasto solo con la scusa di una partita in tv.

  • Nanni, sono preoccupata. Te lo devo dire.

L’avvocato fa un passo verso Sara, come a evitare che le parole si disperdano.

  • Anch’io. Forse stiamo pensando la stessa cosa.
  • Sono preoccupata per Marco.

Nanni l’avvocato ruota la testa come a voler abbracciare tutto il golfo di Frecine con un unico sguardo. Ora è negli occhi di Sara, e ne avverte il brivido che li attraversa.

  • Lo devo dire a qualcuno e Marco ha solo te.
  • Non è sereno, ma non so capire perché.
  • Più di un mese che è così. Prima raccontava tutto, era trasparente, ora niente, finge, non vuole farmi impensierire, ma io mi preoccupo ancora di più.
  • Sai qualcosa della vita di tutti giorni, che so, i soldi, la legge..
  • Niente, tutto regolare.
  • Ha litigato con qualcuno..
  • Se succede me lo dice, me lo racconta e diventa rosso di rabbia, ma questa volta no, non è così.
  • Una donna? Scusami, ma meglio essere chiari.
  • Credi che non ci abbia pensato? Sono stata attenta, ma non ho trovato nulla. Poi io queste cose me le sento, se il mio uomo pensa a un’altra lo capisco. No, è un male oscuro. Forse quella famiglia che gli è arrivata, col ragazzo chiuso in camera.. Non lo so.

Guardano di nuovo l’orizzonte, il sole cala lentamente disegnando ombre sempre più profonde.

  • Tu lo conosci da quando era piccolo, gli capitavano dei periodi come questo?
  • . mai stato un estroverso ma nemmeno un riccio.. Ora però che me lo dici.. sì, ci fu un momento che un po’ assomiglia a questo. Fu quanto scoprirono la malattia della madre. Sergio decise di non dire niente alla moglie ma raccontò tutto a Marco. E gli disse che doveva tenere il segreto, che dovevano far vivere felice la mamma facendole credere che ogni cosa si sarebbe risolta. Me lo ricordo, appena potevo portavo Marco via da quella casa. Io con i bambini sono negato, ma mi inventai di tutto per farlo distrarre perché ti dava la disperazione a vederlo così, zitto e determinato.
  • Bravo, zitto e determinato.
  • Mi ricordo che una volta allo zoo ci fermammo davanti alla gabbia del leone. Eravamo tutti e due colpiti da quanto fosse grosso. Però a guardarlo meglio sembrava intontito, era fermo, immobile, lo sguardo sperso. Mi girai verso Marco e gli dissi una cosa tipo: “Ma lo vedi come è?”. E lui, pensa aveva sì e no otto anni, mi rispose: “perché è solo e non lo può dire a nessuno”.

*** – ***

  • Dottor Sica, ho la netta sensazione che nelle ultime settimane il suo umore sia fortemente cambiato.
  • Vero, da giorni e giorni sento che le cose dentro di me non vanno. Deve essere una cosa evidente, Sara non fa che dirmi: “Ma che hai, che ti è successo” e frasi così.
  • Avverte le emozioni ma non trova collegamenti espliciti con fatti accaduti o sue riflessioni.
  • Sì.. mi sembra di girare a vuoto.
  • Ho notato che il suo coinvolgimento emotivo si accentua ogni volta che discutiamo della famiglia con il figliolo hikikomori. Ho l’impressione che ci sia un collegamento. Se così fosse credo che queste risonanze interiori possano essere una buona occasione per aumentare la nostra comprensione. Ha notato qualcosa di particolare prima o dopo la seduta con la coppia?

Marco deve fare uno sforzo per rispondere al supervisore. Avverte un senso di stanchezza, e volentieri lascerebbe perdere, magari scivolando su casi “facili”, o ribadendo cose già dette e ripetute. Facendo in quel modo sa però che la tempesta si tramuterebbe definitivamente in un uragano.

  • Se devo essere sincero comincio ad avere sensazioni poco definite già il giorno prima. Un’altra cosa, lasciando lo studio e avviandomi a piedi verso casa penso sempre a loro due, mai ad altri pazienti.
  • Come se l’incontro richiedesse molto tempo per essere digerito o non fosse digerito affatto.
  • Poi c’è dell’altro. Dopo quella volta che mi raccontarono la storia del ragazzo, di Mirko, mi aspettavo dei progressi, di andare avanti, più o meno velocemente. Non è così, ho la sensazione che siamo fermi, che non si muova nulla.
  • Allora, ricominciamo da principio. Ricominciamo dalla verità che le è stata raccontata. Evidentemente c’è qualcosa che non abbiamo compreso e che ostacola qualunque cambiamento.

Marco si passa una mano sugli occhi. È contento che Malaguti lo abbia portato a parlare della famiglia Prisco. Allo stesso tempo vorrebbe essere da un’altra parte, magari ai bordi di qualche sentiero di campagna a passeggiare.

  • Dopo la prima seduta i signori sono tornati. In quel secondo incontro parla quasi sempre Prisco. Mi racconta che la moglie Maddalena ha avuto una relazione prima del loro incontro. L’uomo si chiamava Besabes ed era originario del Nord Africa. La signora ha avuto Mirko, ma presto la relazione si è deteriorata. Quando era evidente che Maddalena era pronta a lasciare il signor Besabes, l’uomo ha preso il piccolo ed è scappato nel suo paese d’origine. Nonostante gli sforzi compiuti dalle autorità il bambino non è tornato nel nostro paese. La signora ha successivamente incontrato Prisco ed è nata la seconda figlia. Tuttavia ha sempre continuato a pensare al bambino perduto. Diventato maggiorenne Mirko ha lasciato l’Africa e in modo avventuroso è arrivato in Italia. Si è messo in contatto con la madre che lo ha portato a casa dove però il ragazzo si è chiuso in camera senza mai uscire per almeno tre settimane. Poi Prisco mi ha chiamato.
  • Prisco crede a questa storia?
  • Ne è del tutto convinto.
  • E voi state lavorando insieme dando per certa che questa è la verità.
  • Sì.. per altro non siamo più tornati sull’argomento.
  • Ma lei crede che Mirko sia un ragazzo scappato dal Nordafrica?

C’è una lunga pausa. Il silenzio si riempie di fantasie ricordi schizzi di memoria. Marco sente il petto che si stringe e il fiato che diventa corto. Succedeva a scuola quando qualche insegnante lo costringeva a fare attenzione a qualcosa che gli era sfuggito. Una specie di vergogna.

  • Non me lo sono chiesto.
  • È possibile che si sia stabilito un accordo inconsapevole tra lei e la coppia. L’accordo prevede di non indagare su alcune questioni e di dare per scontato che la verità data è l’unica.
  • Un enactment!
  • Mi chiedo infatti se non è stato indotto dai suoi pazienti a ritenere vera la versione che le è stata fornita in nome del mantenimento dello status quo. In altre parole: “noi veniamo da te a patto che tu accetti la nostra versione dei fatti e non la metti in discussione”.
  • Quindi c’è una menzogna ed io partecipo inconsapevolmente alla farsa che la rende vera.
  • Ma una parte di lei non la sta accettando e la sta trasformando in malessere.
  • Se così fosse.. A questo punto..
  • Può permettersi di immaginare altre storie e di indagare per consentire alla coppia di trovare una verità più aderente alla realtà.

*** – ***

  • Quindi lei a questo punto aveva capito che la signora Brunacci..
  • Avevo intuito che nella storia della Brunacci c’era qualcosa di falso, e che il signor Prisco era disposto ad avvallare la sua verità in ogni caso. Avevo capito anche che questo accordo sarebbe potuto andare avanti all’infinito se la figlia Ada non si fosse ribellata, per quello che poteva.

L’avvocato Marzi si dondola un paio di volte sulla sedia. Sente che è il suo momento.

  • Vorrei a questo punto far notare a questa commissione che la credibilità della signora Brunacci è ridottissima! Perché dovremmo dare credito ad una donna che si comporta in questo modo, che falsifica la realtà approfittando della assoluta compiacenza del marito? Ritengo che l’esposto della Brunacci pervenuto a questo spettabile Ordine vada considerato in larga parte privo di fondamento.
  • Avvocato, non c’è solo l’esposto, ma anche il verbale dei carabinieri, il referto del Pronto Soccorso..

Aldo Moretti si gratta il mento perplesso. La partita che gli era sembrata segnata sin dall’inizio sta prendendo una piega inaspettata. “Qui andiamo ai calci di rigore” si dice, ma non se ne dispiace. La storia, così lontana dalle solite pratiche della commissione disciplinare, lo sta poco per volta coinvolgendo.

  • Ma lei che idea si era fatta a quel punto del ragazzo hikikomori? Cosa stava accadendo per lei in quella stanza e soprattutto chi c’era?
  • Per un paio di giorni.. meglio, per un paio di notti ne pensai di tutte. Che fosse vero quello che diceva la Brunacci, ovvero che Mirko fosse scappato dal padre che lo aveva rapito quando era piccolo. Poi che il bambino non era stato rapito ma che le fosse stato tolto, non so, dal Tribunale dei Minori, ma che poi aveva ritrovato la madre naturale e se ne stava nascosto per paura della legge. Che Mirko fosse morto quando era piccolo e che la stanza fosse un monumento alla sua memoria. Anche un aborto con un lutto mai superato dalla donna. Addirittura arrivai a pensare che la Brunacci con il marito avessero ritrovato Mirko, affidato anni prima ad altri genitori, e lo avessero rapito, tenendolo prigioniero nella stanza.
  • E naturalmente non poteva rivolgersi ad alcuna autorità perché si trattava solo di supposizioni.
  • Già. Quello che potevo fare era lavorare con i Prisco perché arrivassero a raccontarmi come stavano le cose.
  • Impresa ardua.

Marco ripensa agli scarponi di quando per un paio d’anni ha vissuto in un centro sociale autogestito. Erano anfibi militari chiodati, li trattava come una reliquia, una protezione magica in ogni scontro con le squadre antisommossa della polizia.

  • Non sono uno che si tira indietro.

*** – ***

Arrivano puntuali. Ci salutiamo. Il signor Prisco è sempre gentile, all’ingresso cede il passo alla signora che va a sedersi al suo posto senza indugio, come se ormai fosse di casa. Accenniamo tutti e tre ad un sorriso di convenienza. Chiedo come stanno. Come sempre per primo parla Prisco, mi risponde in modo generico: “bene”, poi si volta verso la signora Brunacci che fa un cenno con la testa e conferma: “bene, bene”. Io sospiro, credo di essere contagioso, entriamo in una bolla di silenzio, mi rendo conto che abbiamo chinato la testa tutti e tre. Passa qualche minuto, mi scuoto e chiedo: “Come va?”. A questo punto Prisco, con una espressione non più sorridente risponde: “Più o meno sempre uguale”. “Voi come state?” La signora mi risponde con un tono rassegnato: “Che vuole dottore, passa il tempo e uno incomincia a rassegnarsi”. Commento: “Mi sta dicendo che in certi momenti lei si trova a pensare che non c’è soluzione, che ormai è il destino è segnato”. La donna annuisce. Mi rivolgo al marito che si associa con un cenno docile. A questo punto cerco un punto d’apertura e dico: “Da circa un mese parliamo di Mirko e del fatto che è chiuso nella sua stanza, eppure a me non riesce di vederlo. Per quanto mi sforzi nella mia mente non si costruire una immagine di questo ragazzo. Ci provo, anche a grandi linee, a rappresentarlo, ma niente, è come se dentro di me ci fosse uno spazio vuoto. Forse potreste aiutarmi a farmi una idea di come è, anche con piccole cose, ad esempio come si muove, il tono della voce, non so, piccoli dettagli..”. Subito la signora mi risponde: “Vede dottore, in fondo anche noi lo conosciamo da poco, è mio figlio, ma è tornato a casa solo due mesi fa”. “Certo signora, ma lei ogni giorno entra nella sua stanza, di sicuro mi potrà raccontare, che so, la espressione degli occhi, quando sta seduto o in piedi che posizione prende, se ha qualche movimento personale che l’ha colpita. Tutti noi ne abbiamo. Io ad esempio mi sono accorto che spesso mi gratto il mento, specie se ho un dubbio o sto riflettendo su qualcosa che non mi convince”. Brunacci guarda il marito come se cercasse un aiuto, ma lui allarga le braccia come per dire “proprio non ti posso aiutare”. Poi la signora si rigira verso di me e perplessa dice: “Movimenti.. non so, cambia sempre, qualche volta preferisce stare seduto a terra, qualche volta disteso sul letto, qualche volta va alla finestra, che però è sempre socchiusa”. “Ama guardare fuori, per strada?”. “Può darsi, ma senza che nessuno se ne accorga. C’è appena uno spiraglio di luce alla finestra”. “E cosa si vede dalla finestra di Mirko?”. “C’è un pezzo di strada, con all’angolo la farmacia e un negozio che vende motociclette.. Solo palazzi e macchine che vanno. Le strisce pedonali con il semaforo.. la gente che passa..  un po’ di cielo..”. Di nuovo la signora si volta verso il marito che questa volta annuisce. Commento che c’è del movimento che entra nella stanza da quella finestra, e che forse questo è il motivo che porta Mirko a tenere le imposte quasi chiuse. La signora afferma a quel punto: “Sì, nessuno deve vedere, l’agitazione deve rimanere fuori”. Mi rivolgo a Prisco e gli chiedo se lui ha notato qualche movimento tipico di Mirko, qualche dettaglio che lo ha colpito. Mi risponde che per lui è difficile rispondere, è la moglie che si occupa del figlio. “Certo, me lo avete detto. Ma ci sarà qualche momento, non so, Mirko uscirà dalla stanza per andare al bagno”. “Sempre quando non ci siamo”. “Quindi, a parte quando è arrivato, lei Mirko davvero non lo ha più visto”. “Ma nemmeno quando è arrivato!”. Chiedo di farmi capire meglio. Il signor Prisco mi racconta che in quel periodo si era recato con Ada a trovare i suoi genitori. I nonni paterni di Ada vivono in un’altra città. Mentre era via aveva ricevuto una chiamata dalla moglie che gli aveva preannunciato: “Guarda ci sarà una sorpresa quando tornate!” e non aveva aggiunto altro. “Al rientro mia moglie ci ferma all’ingresso e ci porta in salotto. Ancora con le valige in mano ci fa sedere e ci racconta che Mirko è a casa, che ha avuto un viaggio difficilissimo, ma che è riuscito a ritrovarla e ora è da noi. Maddalena dice che il ragazzo è tanto stanco e che lo ha sistemato nella stanza degli ospiti, una stanza che usiamo poco. Ada voleva conoscerlo subito, ma mia moglie la ferma e si raccomanda di non disturbarlo, in nessun caso. Che incontrarci potrebbe essere uno shock. Quando sarebbe stato il momento lo avremmo visto. Ma da allora questo momento non è mai venuto”. “Dunque lei Mirko non lo ha mai visto”. “Eh no”. “Proprio mai”. “No”. “Nemmeno sentito”. “No”. Intanto la signora Brunacci si alza in piedi. Mi guarda dritto negli occhi e con un tono duro, diverso dal solito, mi dice: “Dottore, c’è una cosa che da qualche giorno ho in testa e gliela devo dire”. Faccio un cenno come per farla accomodare ma la signora rimane in piedi. “Ecco, ho capito che questi incontri sono inutili. Sa, non dipende da lei, ma per me non è questa la strada, incontrandoci non si risolve niente. Volevo dirle che io da oggi non verrò più. Penso che anche mio marito non verrà più”. Io e Prisco ci guardiamo per un attimo sorpresi, il signore arrossisce, guarda la moglie come se si accorgesse in quel momento di aver commesso un grave errore, si alza in piedi mentre la Brunacci mi dice: “Cancelli pure il prossimo appuntamento, dottore. Grazie per tutta la sua pazienza” e fa qualche passo verso la porta d’ingresso. Prisco non aggiunge una parola, tira fuori il bancomat, io in silenzio gli passo la ricevuta e gli chiedo: “Mi richiama?”. Lui a bassa voce mi risponde: “Non credo”. Si volta, raggiunge la moglie e vanno via.

*** – ***

Luana Mannelli solleva la testa dai fogli che ha davanti, accarezza con l’indice un paio di volte la sua gota preferita e alla fine non può fare a meno di commentare:

  • Dunque era finita!
  • Pareva di sì.
  • Già, pareva.

L’avvocato si agita sulla sedia per prendere la parola.

  • Dica dica.
  • Io vorrei puntualizzare che i fatti su cui è competente questa commissione finiscono qui. Quello che è accaduto dopo riguardano Marco Sica non più come professionista tenuto al rispetto delle norme del codice deontologico, ma Marco Sica come cittadino, che potrebbe o non potrebbe aver infranto la legge. E dato che a tutt’oggi non è stata aperta nessuna inchiesta nei suoi confronti, né prevedo che venga aperta, dato che la signora Brunacci non ha presentato nessuna denuncia, ritengo che la vicenda debba essere considerata come conclusa per quanto riguarda l’Ordine degli psicologi. Una coppia di genitori chiede una consulenza per il figlio, riceve una prestazione professionale, non ne è soddisfatta per motivi più o meno fumosi, interrompe il rapporto con il professionista. Punto. Da qui in poi parliamo di un’altra vicenda che va letta, se va letta, con altri strumenti e da altre istituzioni.

Aldo guarda smarrito le due dottoresse al centro del tavolo riunione. Aspetta una reazione, un segno. La storia non può finire in questo modo. Ma le due donne sembrano disorientate e incapaci di una replica. La prima a riprendersi è Luana.

  • Caro avvocato, non è quello che ha scritto nella sua memoria. In questo momento sta dando una lettura dei fatti..

Interviene la professoressa. La mascella è contratta e Aldo riconosce quella espressione dura che Silvia Pasciutti non mostra quasi mai. Solo se è veramente necessario.

  • Mi sembra di capire che lei stia proponendo l’archiviazione della segnalazione pervenutaci sostenendo la illegittimità di questo Ordine a valutare le eventuali responsabilità del suo assistito.
  • Gentile professoressa, sostengo la illegittimità di questo Ordine come organo giudicante esclusivamente per i fatti avvenuti dopo la conclusione della consulenza familiare. Questo per il semplice fatto che quanto è accaduto non può essere considerato come una attività professionale. Cito il vostro regolamento: “La responsabilità disciplinare è accertata ove siano provate l’inosservanza dei doveri professionali dello psicologo”. Doveri professionali!

Marco zitto nasconde come può la sua agitazione. Sapeva cosa avrebbe detto Nanni, e non riesce a chiarire a se stesso se è d’accordo con lui. Non sa nemmeno se ha ragione. Gli è chiaro che Marzi sta cercando di far saltare il banco per tirarlo fuori da questa storia. Ma non sa se è giusto essere tirato fuori.

  • Una interpretazione interessante che riporteremo in modo dettagliato nella seduta del Consiglio dell’Ordine che come sa avrà luogo dopo la conclusione di questa fase istruttoria. In ogni caso lasci decidere al Consiglio se gli eventi successivi sono o non sono materia ordinistica.

Pasciutti ha ripreso il controllo di sé. Si rivolge a Marco con un tono che non è più freddo, ma nemmeno disponibile.

  • Dottor Sica, con il suo racconto ci aiuterà di sicuro a comprendere meglio. Ci dica cosa è successo dopo l’ultimo incontro con i signori Prisco.
  • Era un sabato pomeriggio, all’incirca tre giorni dopo l’ultima seduta. Ricevo una chiamata sul mio cellulare.

*** – ***

  • Pronto, sei Marco?
  • Sì. Ma chi è?

Marco Sica stropiccia un occhio mentre prova a riprendersi dal torpore del sabato pomeriggio. C’è una ragazzina dall’altra parte del telefono, ma ancora non gli riesce di collegare il nome a qualcosa di noto.

  • Sono Ada, la figlia di Donato. Lo conosci, è venuto tante volte da te con la mamma.

Basta poco a svegliarsi in certe occasioni. Il cuore comincia a battere e un fastidioso acufene si impossessa dell’orecchio sinistro. Con un respiro profondo lo psicologo cerca di riprendere il controllo.

  • Ho capito chi sei. Com’è che mi hai chiamato?
  • Mi devi aiutare. Ho bisogno di te.
  • Aspetta aspetta aspetta, che vuol dire?
  • Devo parlare con te.
  • I tuoi genitori lo sanno che mi hai chiamato?
  • Come no?
  • Loro non mi dicono mai niente e io non gli ho detto niente.
  • Ah, ecco.. E di che dovremmo parlare?
  • Di Mirko.
  • Ma no, io non posso parlare con te se i tuoi non lo sanno e se non sono d’accordo.
  • ..
  • Che c’è?
  • Io sto male. Solo tu mi puoi aiutare.
  • Forse sono i tuoi genitori che ti possono aiutare.
  • No, sono sola. E tu sei l’unica possibilità.

C’è un senso di disperazione nel tono della voce, composto e determinato. Quanto basta per spaventare Marco.

  • Non hai parlato con nessuno? Una amica, che so, il tuo ragazzo?
  • Che gli devo dire, che mio padre e mia madre sono pazzi? Non lo posso dire a nessuno. Solo a te. Vengo da te e ti parlo così tu mi dici che devo fare.
  • Che significa “che devo fare”?
  • Guarda che è tutto pronto. Se non parlo con te allora faccio come dico io.
  • Dammi un momento per pensare.

La voce al telefono è determinata, troppo. Questo non vuol dire per forza un pericolo reale, ma è una possibilità. Quattordici anni. Una storia dentro casa che è folle, comunque stiano le cose. Due genitori che non parlano. Ada dice che è sola. “Potrei mandarla al Consultorio in via Battini.. No, sabato pomeriggio, è chiuso”. Gli tornano in mente Simonetta e Martina, due colleghe della specializzazione. Che aveva detto Martina? Che esiste una eccezione, in casi molto gravi uno psicologo può incontrare per una sola volta un minorenne anche senza il consenso informato dei genitori. “Poi lo deve comunicare alla autorità competente.. e quale è? Va bene, ci penso dopo”.

  • Ok, vediamoci.
  • Vengo da te?
  • No no, troviamo un posto tranquillo ma dove c’è gente. Niente studio.
  • Va bene. Davanti alla gelateria Pinocchio?
  • C’è mezzo mondo là.
  • Al bar della galleria in Piazza Garibaldi?
  • Aspetta. Solo un momento.

Marco consulta rapido il programma delle attività culturali in città. “Questo va bene”.

  • Sai dove è la biblioteca comunale?
  • Sì.. ma ora è chiusa.
  • No, alle cinque c’è una conferenza nella sala a piano terra. Non ci sarà tanta gente, è una conferenza noiosa. Accanto alla sala ci sono due stanze, non ci sarà nessuno perché non c’è prestito il sabato pomeriggio.
  • Va bene.
  • Fatti trovare davanti alla porta della sala conferenza alle cinque e un quarto.
  • Come ti riconosco?
  • . ho i capelli biondi.
  • La mamma ha detto che li hai a caschetto. Con i riccioli.
  • Bene, così è più semplice. Io ti trovo di sicuro, sarai l’unica ragazzina alla conferenza su Pascoli e la natura.

*** – ***

Sebbene Marco abbia cercato di tranquillizzare in tutti i modi Sara, quando la donna arriva al Pronto Soccorso è agitata. Ha gli occhi sgranati, una infermiera la ferma per chiederle chi sta cercando e la indirizza verso le due sale d’attesa. Nella prima ci sono diverse persone, tutte con lo sguardo rivolto ai tabelloni con il turno di visita. Marco non c’è. Sara allora si affretta verso l’altra sala, ma è completamente vuota. Si guarda intorno smarrita, alla fine scorge il suo uomo alle macchinette che distribuiscono bevande, in attesa di un caffè che sta sgocciolando in un bicchiere di carta. Sara si avvicina a passo svelto e abbraccia Marco prendendolo dalle spalle.

  • Vieni, sediamoci. Andiamo nell’altra saletta, quella vuota.

Qualcuno ha dato dei tagli netti a quasi tutte le imbottiture dei sedili.

  • Li guardavo prima, sembrano quadri di Fontana

dice Marco, tanto per rompere la tensione. Sara gli dà dei colpetti sul petto e le vengono un paio di lacrime agli occhi.

  • Ma che hai? Io non mi sono fatto niente.
  • Allora andiamo via.
  • Non posso, devono stendere un verbale, il poliziotto del presidio mi ha detto di aspettare.
  • Ma mi spieghi che è successo?
  • Che è successo.. Hai presente Ada, la figlia della coppia.. dai, i Prisco.
  • Ok, e allora?
  • Si è fatta due tagli al braccio solo che con uno dei due ha sbagliato, gli è venuto troppo profondo. Ha perso un sacco di sangue e ora stanno aspettando per vedere come si mette. Comunque non dovrebbero esserci problemi.
  • Ada si è tagliata il braccio e tu sei al Pronto Soccorso. No, ora mi spieghi che ci fai tu qui.
  • Se stai tranquilla te lo spiego.
  • Sono tranquilla.
  • Vuoi qualcosa da bere?
  • Voglio che mi racconti che cosa è successo.
  • Allora oggi pomeriggio metti poco dopo le due Ada mi ha chiamato. Io stavo quasi dormendo. Mi chiede di incontrarmi perché sta male e ha bisogno di parlare con me.
  • I genitori lo sapevano? Cioè sapevano della chiamata?
  • Ecco, si parte bene. Naturalmente tu le hai detto di sì perché sei il salvatore del mondo.
  • Sara, se la metti così non ti racconto più niente, che già mi girano per conto mio.
  • Ok, sto zitta. Giuro. Mi mangio questa mano ma non dico più niente.
  • A telefono la ragazzina mi ha fatto paura, mi è sembrata che potesse fare qualche cavolata, così ho deciso di incontrarla. Non allo studio però, ma in un posto diciamo pubblico, dove ci fosse altra gente, ma anche dove si potesse parlare.
  • Dove siete andati?
  • In biblioteca. Quando ci vediamo Ada mi racconta che a casa sua non si vive più. C’è la stanza segreta, c’è Mirko, e tutta la vita ruota intorno a lui. Mi dice che la camera è chiusa e che non si sente mai un rumore. Lei ha provato un paio di volte a bussare ma non le ha risposto nessuno. La porta è chiusa a chiave e la chiave l’ha la madre.
  • ..
  • Sara racconta che non dorme più, che sta sempre peggio, che i suoi genitori sembrano avere in testa solo Mirko e che si sono dimenticati di lei. Piange tutta la notte e nessuno se ne accorge. Torna a casa fuori orario e nessuno le dice niente. Arrivano delle note e una serie di voti pessimi ma nessuno guarda il registro elettronico.
  • Povera piccola!
  • Già. Così mi confessa due cose. La prima è che ha iniziato a tagliarsi. Mi fa vedere un braccio, sono tagli poco profondi, paralleli, tutti alla stessa distanza. Anche di questo in casa non se ne è accorto nessuno. Poi mi dice che ha iniziato a raccogliere delle pasticche di paracetamolo con l’idea di usarle tutte insieme per uccidersi.
  • Paracetamolo? Ma è un antidolorifico. Mica uno si può..
  • Lo so, è una cavolata, ce ne vogliono almeno quaranta pasticche tutte insieme e poi molte ore per un avvelenamento che porti al decesso. Probabile che prima ti buchi lo stomaco, ma Ada aveva letto da qualche parte che funziona e ha iniziato a mettere le pasticche da parte.
  • Madonna santa..
  • Allora le chiedo se ha mai pensato che la stanza di Mirko possa essere vuota. Qui Ada comincia a piangere piano, dicendo che non era possibile, che la mamma è strana ma non è una bugiarda, che non può aver inventato una cosa così assurda. Poi mi dice che devo aiutarla, che questa storia deve finire e che lei deve sapere la verità.
  • Come la capisco!
  • Così a Ada viene una idea. Mi racconta che il padre è via per lavoro e tornerà solo in tarda sera. La madre è fuori per negozi e torna per cena e che anche lei ha il permesso di stare fuori fino alle otto. Insomma a casa non c’è nessuno.
  • No Marco, non mi dire quello che stai per dire!
  • Insomma, Ada mi assicura che ha capito dove è nascosta la chiave e mi chiede di andare con lei ed aprire la porta della stanza di Mirko.
  • A casa sua? Ma ti sei bevuto il cervello?
  • Io le dico che ci vado se in cambio mi dà le pasticche.
  • Guarda io, io veramente..
  • Mangiati la mano e stai zitta.
  • Allora ci sei andato!
  • Sì. Siamo arrivati verso le sei e qualcosa, secondo i miei calcoli avevamo più o meno un’ora e un quarto di tempo, per me sarebbero bastati dieci minuti.
  • Entriamo in casa, Ada va nella stanza dei suoi genitori e in pochi minuti trova la chiave. Allora ci dirigiamo nel corridoio della stanza di Mirko. Ada mi dà la chiave perché non ha il coraggio di aprire. Così spalanco la porta. Dentro non c’è nessuno. C’è un letto rifatto, un armadio quasi vuoto, un tavolino e una sedia, due trolley in un angolo. Niente altro.
  • Lo sapevo. Lo sapevo che era così.
  • Ada si guarda intorno, poi va in bagno per vedere se Mirko è là, poi fa il giro della casa. È Naturalmente non trova niente. Alla fine si ferma e si va a sedere sul divano del salotto. Io le sono vicino per cercare di consolarla un po’.
  • Povera povera ragazza. Guarda mi si sta stringendo lo stomaco.
  • Stiamo parlando quando sentiamo la porta di ingresso che si apre ed entra la madre.
  • No, questo no..
  • Ada non sa che fare. Le dico di stare calma. La signora ci vede. Là per là non capisce, poi impallidisce e corre verso il corridoio. Trova la porta aperta e inizia a urlare. Ada scappa nella sua stanza, la signora torna in salotto gridando contro di me cose un po’ confuse tipo: “che cosa ha fatto”, “maledetto”. Mi viene vicino e inizia a darmi dei colpi sul petto, ma trema tutta e non ha quasi forza. Poi ad un certo punto si scuote e grida: “Ada! Sei stata tu che lo hai fatto entrare!”. Corre alla porta della ragazza e cerca di aprirla, ma la ragazza si è chiusa dentro. La signora picchia gridando “fammi entrare” mentre io le sono vicino e provo a dirle di calmarsi. Alla fine la porta si apre e Ada viene verso di noi. Ha il braccio sinistro in alto e quello destro abbassato, con un pezzo di vetro in mano. Dal braccio sinistro sgocciola il sangue che le bagna tutta la camicetta. Un attimo e c’è una pozza a terra. Ada grida: “Mamma guardami. Guardami, per favore, guardami”. Io sto già chiamando un’ambulanza. La signora allora abbraccia Ada come se fosse appena tornata in se stessa e mormora: “bambina mia, bambina mia”. Almeno io ho capito così. Dopo l’abbraccio la signora era così sporca di sangue che qui al Pronto Soccorso hanno voluto visitare anche lei.

Marco si ferma ora che ha detto tutto. Sara gli stringe una mano guardando a terra davanti a sé. Dall’altra sala d’attesa rimbomba la voce metallica che chiama il prossimo da visitare. Loro due sono in una bolla di silenzio difficile da descrivere. Passa qualche minuto e si sentono dei passi felpati.

  • Dottor Sica.

Marco e Sara si voltano, davanti a loro compare quest’uomo un po’ anonimo, con una espressione sofferente. Marco si alza per stringergli la mano.

  • Signor Prisco. Pensavo fosse ancora in viaggio.
  • No, sono arrivato, non lo so, saranno tre quarti d’ora.
  • Ha visto Ada?
  • Sì. Mi hanno tranquillizzato, già domani la spostano in un altro reparto, il problema fisico è risolto. Ho incontrato una dottoressa che da ora in poi si occuperà di lei. La dottoressa Guerri. La conosce? È una neuropsichiatra infantile. Quando l’ho vista seduto qui ho pensato che le avrebbe fatto piacere saperlo.
  • Sì, sì, è così.

Marco si volta verso Sara, poi la presenta al padre di Ada con un tono vagamente formale.

  • Se dovete parlare non preoccupatevi per me, aspetto fuori.
  • Non saprei..
  • Sì dottore, volevo parlare con lei.

Appena Sara è fuori, oltre la porta a vetri, Donato Prisco si siede al suo posto, il capo chino per poter tenere la voce bassa.

  • Dottore, ho parlato con Ada, mi ha raccontato quello che è successo.
  • Mi spiace, mi spiace tanto.
  • Ho parlato anche con mia moglie. Poche parole, ma forse in questi casi ci vuole poco per capire.

Scuote la testa, guardando il pavimento in PVC.

  • Non so se ci rivedremo mai, ma le volevo far sapere cosa ho pensato di fare. In queste due ore sono cambiate tante cose. Troppe. Conoscendomi, nelle nostre sedute, deve aver sicuramente pensato che sono un debole, succube di una donna strana, tanto sottomesso da credere a tutte le sue fantasie, a dar per buona ogni parola che diceva. La verità è che da anni combatto per mantenere un equilibrio nella mia casa, per cercare di vivere insieme una vita serena o almeno normale. Non ci sono riuscito. Ho fallito.
  • È successo tutto così in fretta, non so se è il momento di prendere decisioni..
  • Ada ed io lasciamo casa, ci trasferiamo per qualche mese da mio fratello, il tempo di trovare un appartamento in affitto. Non voglio dire che lascio mia moglie, ma così non possiamo più vivere insieme.

Prisco si ferma per un momento, tira fuori da una tasca alcuni fogli piegati in quattro.

  • Prima di venire in ospedale sono passato da casa. Orribile. Ci sono schizzi di sangue da per tutto. Ma non è per questo che ci sono andato. Volevo la verità. Così ho aperto anch’io una porta, un paio di cassetti dove Maddalena tiene le sue cose. Non ci ho messo molto per trovare questi.

Sono documenti, decreti del Tribunale che raccontano la storia di una ragazza rimasta sola, ospite in una piccola comunità. La ragazza aspetta un bambino, quando nasce le dà nome Mirko. A quel punto viene trasferita in un’altra comunità per ragazze madri. Qui, alle prime luci dell’alba di un giorno di marzo una educatrice ferma Maddalena con il suo piccolo in braccio prima che scavalchi la ringhiera di un balcone. Le altre ospiti accorrono, salvano Mirko, il bambino viene separato dalla madre. I decreti parlano di cure psichiatriche, dell’affido ai servizi sociali, della dichiarazione di adottabilità del figlio di Maddalena.

  • Almeno ora so che Mirko esiste, che non è tutta una fantasia.

Marco stringe le mani all’uomo, che piange, poche lacrime svelte asciugate con un fazzolettino.

*** – ***

Marco Sica e il suo avvocato sono appena andati via. Luana Mannelli raccoglie i documenti sul tavolo mentre Aldo sistema le sedie e apre le finestre per cambiare un po’ l’aria. Pasciutti si accarezza il mento con lo sguardo basso. Ognuno sembra preso dai propri pensieri. Alla fine Aldo trova un po’ di coraggio e chiede:

  • Cosa succederà ora?

Mannelli si volta e quasi con cinismo gli risponde:

  • Sarà radiato dall’Ordine.
  • Ma quella storia che l’incontro con la ragazzina è di vostra competenza?

A questo risponde la professoressa:

  • Sì. Quello che ha detto l’avvocato è solo un po’ di fumo negli occhi. Quando non sai che altro fare..
  • Insomma è veramente grave.
  • Gravissimo!

Fa la Mannelli. E nella voce c’è un tono di rabbia.

  • Sai, è una storia strana.

Silvia Pasciutti sembra presa da un lavorio minuzioso, come tanti fili che vanno riannodati uno per uno.

  • Sembra uno di quei film di guerra, dove il protagonista un momento prima pare che riceverà una medaglia al valore e un momento dopo sembra destinato al plotone di esecuzione. Marco Sica in fondo si era mosso come poteva. E incontrare la ragazzina era sacrosanto, l’unica cosa che un professionista responsabile doveva fare. Ma ha commesso alcuni errori. Prima di tutto doveva avvertire l’autorità giudiziaria e poi andare in biblioteca.
  • Ma di sabato pomeriggio..
  • Bastava una PEC, una email inviata alla Procura della Repubblica. Magari anche un mezzo tentativo con una telefonata, ma insomma qualcosa che lasciasse un segno che stava andando. Questo non l’ha fatto.
  • Va bene, e poi?
  • E poi non lo so, una cosa è certa non doveva salire con Ada in casa sua.
  • Ma professoressa, la ragazzina a quel punto avrebbe potuto fare di tutto. Tagliarsi, avvelenarsi..
  • Già..

Di nuovo sono in silenzio, facendo finta di mettere qualcosa a posto. Poi Aldo si gira verso le due psicologhe e come fosse davanti ad una assemblea di condominio, prende la parola:

  • Io mi sarei regolato in questo modo. Avrei fatto un patto con Ada. L’avrei accompagnata a casa, le avrei detto che non potevo salire, ma che sarei rimasto a telefono con lei dicendole passo per passo quello che doveva fare. Appena Ada scopriva che la stanza era vuota le dicevo di scendere con le pasticche, questo faceva parte dell’accordo. Facendo così non avrebbero incontrato la signora, o la avrebbero incontrata fuori casa. Infine con le pasticche e la ragazza mi infilavo nella prima stazione di Polizia: ci avrebbero pensato loro a chiamare che so, un assistente sociale e a metterla in sicurezza. Ecco, io avrei fatto così.
  • Magari era la cosa giusta da fare. Ma il dottor Sica non ci ha pensato.
  • Peccato.. Allora ci sarà la radiazione?
  • Non è detto. Credo che il Consiglio terrà presente che è giovane, che ha tempo per riscattarsi. Se avesse avuto cinquanta e passa anni una follia come questa gli sarebbe costata la fine della carriera professionale. Ma a questo giovanotto forse daranno una possibilità. Un anno di sospensione dall’esercizio professionale, il tempo per riflettere per bene sulle cose che ha fatto. E magari per delle sedute con uno psicoterapeuta. Beh, sì, un collega più maturo di lui.
  • Perché la signora non l’ha denunciato?
  • Non credo sia un caso. Difficile dimostrare che Ada è stata danneggiata da uno psicologo che la incontra una sola volta. Semmai è vero il contrario, nel colloquio con dottor Sica la ragazza parla dei tagli e dei suoi progetti suicidari. Anche se Sica si è mosso come un caprone per lo meno Ada è stata presa in carico da degli specialisti, e ora vive in ambiente psicologicamente molto meno nocivo. Per quanto riguarda i danni che la signora stessa ha ricevuto, il fatto che il marito abbia deciso di andare via di casa con la figlia sembra sia stato qualcosa di concordato, e comunque che potrà essere regolamentato quando il Tribunale dei Minori avrà compiuto la sua indagine, avviata con il verbale steso al Pronto Soccorso. C’è un punto però su cui mi sento di dare ragione alla signora.
  • Quale?
  • Che la signora Brunacci abbia perso suo figlio Mirko a causa della imperizia del dottor Sica.
  • Che vuol dire professoressa? Mirko non esiste.
  • Sì, non esiste, ed è quello che avrebbe scritto un giudice nella sua sentenza se Brunacci avesse denunciato Sica per danno. Un giudice non può considerare un danno l’essere abbandonato da un fantasma. Ma noi..
  • Noi?
  • Noi possiamo capire che questo è stato un danno. Maddalena Brunacci ha perso una illusione che la aiutava a nascondere la perdita del figlio, a farle credere che era stata perdonata per il suo tentato omicidio. Credo che sia il vero motivo per qui questa donna ci ha inviato l’esposto. Ha intuito che siamo gli unici in grado di capirla.

*** – ***

Per strada c’è caldo ora. Nanni l’avvocato guarda le palazzine anonime che circondano la sede dell’Ordine, poi Marco che è un passo avanti a lui.

  • Senti mi sono ricordato che da queste parti c’è una trattoria che non è male. Che dici, mandiamo un messaggio a Sara e mangiamo qualcosa insieme?
  • Per me va bene, tanto oggi ho disdetto tutti gli appuntamenti. Me lo sentivo che non sarei stato in condizione di lavorare.
  • . Ha già risposto, arriva tra dieci minuti, quindici al massimo.
  • Dov’è la trattoria? Ma forse ho capito, quella a fianco della copisteria.
  • Sì, quella. Va bene, no?
  • Nanni, ma secondo te come andrà a finire, voglio dire con la commissione disciplinare?
  • Non lo so. Dipende da troppe cose. Se ti va bene dovrebbero darti sei mesi di sospensione dall’esercizio professionale. Massimo un anno.
  • ..
  • Che ti ha chiesto la dottoressa quando ci siamo avviati verso l’uscita?
  • La Pasciutti? Mi ha chiesto che ne penso della vita da psicologo.
  • E te?
  • Che non cambierei questo lavoro per nessuna cosa al mondo.
  • Così le hai mentito!
  • Ho sempre sognato di fare il fioraio. Sai che altro mi ha chiesto la professoressa?
  • Cosa?
  • Se avevo avuto in qualche modo notizie di Mirko.
  • . Mirko ora è un ragazzo che vive in un’altra città. Non ha più nemmeno lo stesso nome.
  • Già.
  • Di sicuro non ha saputo e non saprà mai nulla di tutta questa storia.
  • Proprio così, non saprà mai niente. E noi niente di lui.

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