I rifugi della mente

Fiorenzo Ranieri

Alcune persone ricercano il rischio estremo con comportamenti di sfida e azzardo per alleviare il proprio disagio mentale e proteggersi dal dolore psichico. Grazie ai dati raccolti durante il lavoro clinico con pazienti amanti del rischio, per altro non facili da coinvolgere in una psicoterapia, è possibile formulare alcune ipotesi sul loro funzionamento psicologico. Per incominciare tali pazienti sono portati a ridurre la riflessione su se stessi a favore della ricerca di sensazioni estreme in grado di offrire un rapido ma momentaneo riparo dalle angosce. Altra caratteristica è che il lavoro psicoterapico si contraddistingue per il costante confronto della coppia terapeutica con alcune parti del Sé del paziente che esercitano il proprio dominio perverso sull’intero mondo interno utilizzando modi subdoli e poco appariscenti (Ranieri, 2011). Le esperienze di ricerca del rischio si connotano come uno spazio mentale in cui questi pazienti si ritirano per sfuggire a una realtà insostenibile perché angosciosa, un vero e proprio “rifugio della mente” (Steiner, 1993). Si tratta di una modalità di funzionamento psicologico grazie al quale trionfa l’onnipotenza e in fantasia qualunque cosa è permessa. Senza di essa non vi è più argine alle ansie dalle quali il soggetto sta cercando di difendersi. Il sollievo che si ricava dal ritirarsi in un rifugio della mente comporta però un progressivo isolamento con compromissione delle relazioni con gli altri e una perdita di contatto con la realtà che in qualche caso diventa gravissima. Il rifugio della mente ci permette di dare un senso ai racconti di esperienze umane che si incrociano con la ricerca del rischio estremo. Le parole affidate ad una e-mail qualche anno fa da un rischiatore che con lucida consapevolezza riflette sulla sua condizione ci aiutano a capire come certi modelli teorici sono operativamente utili:

“Buon giorno dottor Ranieri, Le ho scritto anche tramite il sito YYY, ma nel dubbio… A seguito di una ricerca sul tema ho letto con interesse la bozza del Suo articolo e purtroppo mi sono specchiato nella patologia descritta, che oramai vivo come se fosse una gabbia dalla quale non mi sembra essere possibile uscire. Ho sempre avuto la tendenza a ripetere comportamenti altamente rischiosi in vari ambiti quali la guida, l’attività sportiva (elenca due sport estremi che ometto per riservatezza) ed in ambito lavorativo. Apparentemente mi trovo a mio agio soltanto in situazioni critiche e non faccio niente per evitarle, piuttosto inconsciamente ed in maniera del tutto irresponsabile le ho sempre cercate con ripetitività, ma ho spesso sospettato che una con-causa possa essere una sorta di dipendenza da adrenalina o qualcosa di simile, ma adesso, lungi dal volermi rifugiare in una forma di giustificazione, sarei interessato ad avvalermi di un supporto per porvi rimedio. L’effetto della reiterazione di certi miei comportamenti potrebbe divenire causa di dolore per chi mi vuol bene, e non potrei perdonarmelo.

I rifugi della mente possono essere considerato un sinonimo del concetto di organizzazioni patologiche di personalità. Queste ultime sono sistemi interrelati di motivazioni, stati affettivi, difese, rappresentazioni di sé e degli oggetti che, in grado diverso e con modalità diverse, ostacolano lo sviluppo psichico e relazionale della persona e degli altri sabotando tutti questi fattori. Le organizzazioni patologiche danno vita a modi di sentire e agire caratterizzati dalla tendenza ad attaccare le relazioni sane e le realizzazioni proprie ed altrui con forme di aggressività di diversa intensità, sempre associata ad una certa quota di sofferenza indotta o patita, a sentimenti di onnipotenza e a vissuti di identificazione e/o erotizzazione perversa (Gazzillo, 2012). John Steiner, lo psicanalista inglese che ha coniato la definizione, ha tentato con il proprio modello di sistematizzare il concetto di organizzazione patologica elaborato in precedenza da altri psicanalisti postkleiniani. Steiner ha focalizzato in primo luogo la sua attenzione sulla interazione tra le organizzazioni patologiche e gli stati mentali che Melanie Klein ha chiamato posizione schizo-paranoide e depressiva (Segal, 1973). Lo psicanalista ha sottolineato come l’individuo è particolarmente vulnerabile all’influenza di una organizzazione patologica proprio nei passaggi tra uno stato mentale e l’altro, ovvero tra una posizione e un’altra, dato che l’organizzazione funge da difesa sia contro la frammentazione e la confusione della posizione schizo-paranoide che contro il dolore mentale e l’angoscia della posizione depressiva (Steiner, 1987). I raggruppamenti di meccanismi di difesa e sistemi di relazioni oggettuali interne progressivamente costituiscono una terza posizione che Steiner chiama posizione borderline (Steiner, 1993). Ognuno di noi ha strutture mentali di questo tipo, in altri termini ognuno di noi ha un rifugio della mente che fornisce un luogo psichico nel quale rimanere relativamente tranquilli, protetti contro le tensioni nei momenti in cui il contatto con gli altri e con i fatti della vita è vissuto come una minaccia. Le organizzazioni diventano disfunzionali quando il loro utilizzo si fa eccessivo e indiscriminato, una forma onnipotente di difesa o una via di fuga da angosce molteplici. Questa possibilità è facilitata dal fatto che un rifugio funziona come una zona della mente in cui non si deve affrontare la realtà, in cui le fantasie e l’onnipotenza possono esistere senza controllo, e nulla è impossibile. Una caratteristica che rende particolarmente attraente i rifugi della mente.

Cosa porta, nel corso dello sviluppo, alla formazione di una organizzazione patologica? Steiner sostiene che organizzazioni difensive sono costruite a partire dalle esperienze con coloro che fanno parte dell’ambiente infantile della persona e il loro scopo è quello di legare, neutralizzare e controllare l’aggressività primitiva, una tappa evolutiva comune a tutti noi. Traumi e deprivazioni infantili possono influenzare profondamente il processo di crescita e determinare la creazione di organizzazioni patologiche della personalità. La nascente organizzazione patologica svolge un ruolo di contenimento “perverso” delle angosce e dal terrore, offrendosi come sostituto della normale capacità di contenimento offerto dalla madre/caregiven. L’organizzazione protegge il bambino e poi l’adulto ma allo stesso tempo lo intrappola, non consentendogli di venir fuori dal suo controllo onnipotente e di fatto impedendo la crescita e un contatto veritiero con la realtà. Come vivere sotto la protezione della mafia o di una dittatura, al sicuro ma soggiogati (Rosenfeld, 1971; Meltzer, 1973).

Le organizzazioni patologiche, e quindi i rifugi della mente, tendono a funzionare come assetti psichici dissociati. La dissociazione è processo mentale che ha lo scopo di proteggere l’Io grazie ad una alterazione dello stato di coscienza ordinario per mezzo di un meccanismo inibitorio attivo delle informazioni intollerabili e la costruzione di una realtà parallela più favorevole nella quale trovare un agevole rifugio. Ma quando il ritiro tende alla reiterazione eccessiva e alla dipendenza morbosa, esiste, come si è detto, il rischio della coazione all’isolamento e alla distorsione del senso del Sé e delle relazioni con gli altri, fino alla perdita del contatto vitale con la realtà, a favore di attività autoerotiche compulsive, di varie forme di dipendenza patologica, fino ai veri e propri disturbi dissociativi d’interesse psichiatrico (Caretti et. Al., 2008).

Steiner ha esplorato i movimenti psichici che accompagnano il soggetto quando esce dal rifugio psichico. L’esperienza di un interlocutore reale che comprende il modo di funzionare della organizzazione patologica di personalità può provocare alla persona un disagio che va dall’imbarazzo alla vergogna, all’umiliazione, in una scala crescente di sofferenza dato che l’aspetto narcisistico della personalità poggia su basi fragili e patologiche. Essere osservati, anche in un contesto protetto come una seduta di psicoterapia, fa sperimentare al paziente un’intollerabile senso di separatezza, di bisogno e di persecuzione che lo risospinge indietro nel suo rifugio (Steiner, 2002). Trovare la strada per un buon percorso terapeutico, uscire fuori dal rombo (1) non è affatto facile.

quintet-locandina

Alcuni psicanalisti che si rifanno alla scuola di pensiero interpersonale/relazionale hanno offerto una descrizione delle organizzazioni patologiche e dei rifugi della mente corredata con maggiori fondamenti empirici che arricchiscono i contributi degli autori postkleiniani. In particolare Philip M. Bromberg, noto per le sue riflessioni sulla normale molteplicità del Sé (Bromberg, 1998; 2006), quando descrive le conseguenze di quello che chiama trauma evolutivo, si sofferma su una struttura mentale dissociata conseguenza di una alterata relazione tra bambino e figure di attaccamento assimilabile a quella di rifugio della mente. Per Blomberg ognuno di noi vive nelle prime relazioni intersoggettive con il caregiver esperienze di sincronizzazione in grado di strutturare i diversi stati del Sé. La possibilità di vedersi attraverso gli occhi dell’altro ha un ruolo fondamentale nella organizzazione dalla mente del bambino. Non tutti gli stati e i cambiamenti di stato neurobiologici e affettivi vengono tuttavia condivisi tra bambino e caregiver. Qualora questa condizione di disconferma e non riconoscimento della propria esperienza diventa costante, un trauma evolutivo non elaborato, si crea come una ombra nella mente del piccolo che può trasformarsi in una struttura mentale dissociativa, lo strumento che il cervello utilizza per escludere con un meccanismo anticipatorio il potenziale ritorno di affetti di sregolati associati al trauma. Tale struttura, che può essere considerata come una organizzazione patologica della personalità, offre una protezione pagata a caro prezzo. Si forma una rigida dualità, da un lato le parti del Sé di cui si ha consapevolezza, dall’altro una struttura che è nell’ombra perché inaccessibile alla autoriflessione e che è in grado di dominare e possedere l’intera personalità. Questo tzunami affettivo dissociato si impossessa della vita, guidando verso scelte che sono distruttivamente opposte alle migliori intenzioni. Il desiderio di liberarsi della sensazione di essere posseduti, ci dice Blomberg, porta alcune di queste persone, finalmente, in terapia (Blomberg, 2011).

(1) monologo di Gasman dal film “Quintet” di Altman: http://www.youtube.com/watch?v=rB45PdDIPjM )

Bibliografia

  • Bromberg, P. M. (1998). Standing in the spaces: Essays on clinical process, trauma, and dissociation. Analytic Press (Tr. It: Clinica del trauma e della dissociazione: standing the spaces. Milano: Cortina – 2007).
  • Bromberg, P. M. (2006). Awakening the dreamer: Clinical journeys. Analytic Press (Tr. It: Destare il sognatore: percorsi clinici. Milano: Cortina – 2009.
  • Bromberg, P. M. (2011). The shadow of the tsunami. New York, NY: Routledgev (Tr. It: L’ ombra dello tsunami. La crescita della mente relazionale. Milano: Cortina Ed. – 2012).
  • Caretti v., Craparo G., Schimmenti A. (2008): Psicodinamica delle dipendenze patologiche. Noos, 2:2008; 107 – 116.
  • Gazzillo F. (2012): I sabotatori interni – il funzionamento delle organizzazioni patologiche di personalità”. Milano: Cortina Editore.
  • Meltzer, D. (1973) Sexual States of Mind. Strath Tay: Clunie Press. (Tr. it.: Stati sessuali della mente. Roma: Armando – 1975)
  • Ranieri F. (2011): “Extreme risk seeking addiction: theory and treatment”. British Journal of Psychotherapy, Volume 27, Issue 4, pages 335–351, November 2011 (bozza italiano).
  • Rosenfeld H. (1971) A clinical approach to the psychoanalytic theory of the life and death instincts: An investigation into the aggressive aspects of narcissism. International Journal of Psychoanalysis 52: 169–78.
  • Segal, Hanna (1973). Introduction to the Work of Melanie Klein. London: Karnac Books (Tr. it.: Introduzione all’opera di Melanie Klein. Firenze:Martelli – 1975).
  • Steiner, J. (1987). The interplay between pathological organizations and the paranoid-schizoid and depressive positions. The International Journal of Psychoanalysis. (Tr it.: L’interazione fra organizzazioni patologiche e posizioni schizoparanoide e depressiva. In Spillius E. B.(a cura): Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi oggi. Vol. 1: La teoria. Roma: Astrolabio – 1995)
  • Steiner J. (1993). Psychic retreats. London: Routledge (trad. it. I rifugi della mente. Torino: Bollati Boringhieri, 1996)
  • Steiner, J. (2002). Improvement, Embarrassment and Indignation. (Abridged). http://www.melanie-klein-trust.org.uk/steiner2002.htm

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