Passione del rischio – di David Le Breton

Fiorenzo Ranieri

“Ogni ricerca di limiti, in ultima analisi, sollecita la morte per garantire l’esistenza”. La frase, tratta da “Passione del rischio” di David Le Breton, è un buon punto di partenza per discutere di uno dei più famosi testi sulla ricerca del rischio estremo. Il saggio è del 1991, ma conserva una discreta attualità nella descrizione del fenomeno. I “conquistatori dell’inutile” degli anni ottanta, periodo in cui venne raccolto il materiale del libro, non sono affatto diversi da quelli di oggi: si lanciano con l’elastico, si arrampicano, praticano base jumping, usano sostanze psicoattive, corrono in automobile e fanno gare, commettono piccoli ma appariscenti reati e altro ancora.

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Le Breton affronta il rischio estremo da un punto di vista antropologico. Mette subito in chiaro che cercare il rischio può essere una strada del tutto particolare per “sentirsi esistere”, contrapponendo se stessi ad una società alienante. La ricerca del rischio, tuttavia, può trasformarsi progressivamente in una condotta ordalica, l’abbandono di se stessi al “giudizio di Dio”, l’affidarsi al destino per ricevere una parola oracolare sul proprio diritto di esistere e sul proprio avvenire. La finalità del gesto azzardato è allora del tutto diversa.Quattro sono le modalità con cui si cerca il rischio estremo: la vertigine, l’affrontamento, il candore e la sopravvivenza. Modalità non nettamente distinte tra di loro, così che possiamo trovare condotte rischiose che sommano al loro interno due o più delle modalità appena elencate.

Quando con il rischio ci si abbandona all’ebbrezza dei sensi si vive una condizione di vertigine. “Si tratta di scompigliare i punti di riferimento, di creare il provvisorio disordine delle coordinate che permettono giorno dopo giorno di controllare la propria esistenza all’interno di un ambiente sociale e culturale governato da regole precise. L’attore abbandona se stesso all’ebbrezza dei sensi” (p. 25). Le modalità sono molto numerose. Si va dagli sport estremi come lo sci estremo, il sulf, il paracadute, ma anche le corse in moto e in macchina, le fughe, il consumo di alcune sostanze stupefacenti e di alcool, alcuni tipi di atti delinquenziali.

Il rischio cercato attraverso l’affrontamento implica che la persona affronti delle difficoltà senza cedere alla fatica. Il pericolo è diluito in un impegnativo corpo a corpo con una impresa faticosa da portare a termine. Nonostante lo sforzo intenso, non più sopportabile, l’impresa va completata. Rischiare implica la capacità di “andare fino in fondo”, resistere, sia che si tratti di un viaggio impervio, di una maratona, di una competizione a tappe forzate, di una sfida a chi beve di più. Se la formula della vertigine è lo sfogarsi, quella dell’affrontamento è lo stravolgersi.

Si può cercare il rischio non aggiungendo sensazioni, ma al contrario sottraendole. La ricerca di intensità cede allora il passo al candore. Grazie a queste forme particolari di ricerca del rischio la persona percepisce un senso di assenza, di sospensione, di sconnessione dalla realtà sociale. Una condizione fortemente desiderata e indotta utilizzando alcool, droghe, fuga, vagabondaggio. Il legame con il mondo si riduce in una sorta di autismo provvisorio che procura un senso di vertigine da cui si entra e si esce a piacere. La comunicazione con gli altri è ridotta alle espressioni più elementari, una fatica utile solo per verificare il fatto incerto di esistere. Le nuove tecnologie, dai videogiochi a Internet, stanno ampliando le occasioni di candore ovvero di abbandono e diffusione della propria identità fino a rendere la persona trasparente.

In ultimo Le Breton presenta le forme di ricerca del rischio basate sulla sopravvivenza. Si tratta di esperienze in cui l’individuo si avventura in veri e propri corpo a corpo con la natura (o potremmo dire con la realtà) utilizzando le sole risorse personali. A volte si tratta di esperienze individuali (si pensi al fim “Into the wild”), a volte organizzate (ad es. il Camel Trophy, una delle più dure competizioni per fuoristrada del mondo). La fantasia che sostiene questo tipo di esperienze è la scomparsa del mondo a causa ad esempio di una catastrofe e la sopravvivenza solo di qualche persona. Mimando la catastrofe e sopravvivendo ad essa si scongiura la paura del futuro. Attraverso l’esperienza della sopravvivenza la persona, esaltando la propria individualità, si prende gioco simbolicamente dei limiti.

Il capitolo centrale del libro si occupa della ordalia. Sin dalle prime righe del saggio Le Breton ci avverte della possibilità che i comportamenti di ricerca del rischio possono trasformarsi in condotte ordaliche. La differenza tra una condizione e l’altra sembra quantitativa: se si oltrepassa un non ben definito limite uno oscuro cambiamento interiore prende campo nella mente della persona. Le Breton non è stato il primo ad utilizzare come metafora la figura storica dell’ordalia (un rito giudiziario particolarmente in auge nell’alto medioevo) per cercare di spiegare i comportamenti di ricerca del rischio. La similitudine è resa possibile dal fatto che con questa forma rudimentale di giudizio molte comunità arcaiche cercavano di sollecitare la divinità di riferimento per ottenere un pronunciamento senza equivoci che sgombrasse il campo dai dubbi su innocenza o colpevolezza di un accusato. Il giudizio richiesto si otteneva con l’esito della prova proposta all’inquisito, di solito una condotta azzardata o con poche possibilità di riuscita. Allo stesso modo Le Breton (e altri autori prevalentemente francesi, prima tra tutti Marc Valleur e Aimèe Charles-Nicholas) utilizza la metafora dell’ordalia moderna per spiegare le motivazioni profonde che portano a gesti tanto pericolosi. Il giovane e la persona che si espongono volontariamente ad una impresa rischiosa compiono un atto solitario in larga parte motivato inconsciamente. Essi sono alla ricerca di una risposta circa il senso del proprio vivere e del proprio diritto di esistere. Accettando questa chiave di lettura ne consegue che l’ordalia non può essere compresa con categorie mentali e affettive che privilegiano il razionale. Chi azzarda ad un passo dalla morte sollecita il senso del sacro e vi si affida per un giudizio su se stesso che si trasforma in destino. In questo senso l’ordalia è una istanza generatrice di significato, spesso utilizzata dai più giovani anche come rito individuale di passaggio.

In breve, Passions du risque di Le Breton rimane un punto di passaggio obbligato per chiunque voglia occuparsi di ricerca del rischio estremo.

Le Breton, David. Passions du risque. Métailié, 1991 (Tr. it.: Passione del rischio. Edizioni Gruppo Abele, 1995).

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