Ritiro sociale in adolescenza: lavorare con i genitori

Fiorenzo Ranieri

In questo lavoro (1) mi occupo di una particolare forma di ritiro sociale comunemente chiamata “hikikomori”. Il ritiro consiste in una autoreclusione volontaria in casa di adolescenti e giovani che non mostrano segnali evidenti di malattia mentale. La definizione ripresa da un articolo ben scritto da Kato, Kanba e Teo (2) nel 2019 è la seguente:

1 Marcato isolamento sociale nella propria casa.

2 Durata dell’isolamento sociale continuo per almeno 6 mesi.

3 Significativa compromissione funzionale o angoscia associata all’isolamento sociale.

La condizione di questi individui può essere definita come lieve, moderata e grave se rispettivamente occasionalmente lasciano la loro casa (2-3 giorni/settimana), raramente lasciano la loro casa (1 giorno/settimana o meno), e raramente lasciano una sola stanza.

Gli individui che lasciano frequentemente la loro casa (4 o più giorni/settimana), per definizione, non soddisfare i criteri per essere definiti l’hikikomori. La durata del ritiro sociale senza interruzioni dovrebbe essere rilevata (per esempio, 8 mesi). Gli individui con una durata di ritiro sociale continuo di almeno 3 (ma non 6) mesi dovrebbero essere considerati come pre-hikikomori. Tipicamente L’età di insorgenza si ha durante l’adolescenza o la prima età adulta. Tuttavia, l’insorgenza dopo la terza decade non è rara. Il ritiro sociale può rientrare in uno stato psichiatrico, ma molti hikikomori non rientrano in una categoria diagnostica definita.

Gli specificatori che seguono non sono criteri obbligatori, tuttavia possono essere utili per caratterizzare ulteriormente gli hikikomori:

A) Con mancanza di partecipazione sociale. L’individuo partecipa occasionalmente (2-3 giorni/settimana) o raramente (1 giorno/settimana o meno) alle attività, come frequentare la scuola, andare sul posto di lavoro, o andare agli appuntamenti medici. Questa specificazione si applicherebbe probabilmente agli hikikomori che non sono anche in istruzione, lavoro o formazione (cioè, ‘NEET’).

B) Con mancanza di interazione sociale personali. L’individuo occasionalmente (2-3 giorni/settimana) o raramente (1 giorno/settimana o meno) ha significative interazioni sociali in interazioni sociali significative in persona (conversazioni) con persone fuori casa. In casi gravi, l’individuo ha raramente interazioni sociali di persona anche con persone conviventi, come i membri della famiglia. Questa specificazione si applicherebbe probabilmente agli individui con hikikomori che hanno interazioni sociali che avvengono principalmente tramite tecnologie di comunicazione digitale (ad esempio, social media, giochi online).

C) Utilizzo di comunicazioni indirette. A causa della proliferazione di Internet nella società moderna, la comunicazione “indiretta” attraverso il web o altre tecnologie è sempre più comune. Quindi, tale comunicazione indiretta dovrebbe essere valutata in accordo con la comunicazione diretta. Alcuni casi hanno una comunicazione indiretta bidirezionale quotidiana attraverso strumenti online come i servizi di social network e/o i giochi online.

D) Con solitudine. L’individuo sostiene di sentirsi solo. La presenza di solitudine tende ad essere più comune man mano che la durata dell’hikikomori aumenta.

E) Con una condizione co-occorrente. Hikikomori può co-occorrere con numerosi disturbi psichiatrici, come il disturbo evitante di personalità (es, isolamento dovuto alla paura delle critiche o del rifiuto), disturbo d’ansia sociale (per esempio, evitamento delle situazioni sociali per paura dell’imbarazzo), disturbo depressivo maggiore (ad esempio, l’evitamento di situazioni sociali come riflesso di sintomi neurovegetativi), disturbo dello spettro autistico (deficit nelle interazioni sociali e nella comunicazione), o schizofrenia (per esempio, isolamento dovuto ai sintomi positivi e negativi della psicosi).

F) Età d’esordio. In molti casi, l’età di insorgenza è l’adolescenza e la prima età adulta; tuttavia, i casi con insorgenza dopo la terza decade non sono rari.

G) Modello e dinamiche familiari. Lo stato socio-economico e gli stili di genitorialità possono influenzare lo sviluppo dell’hikikomori. Per esempio, la genitorialità iperprotettiva e/o l’assenza di coinvolgimento paterno sono suggeriti per essere collegati al verificarsi di questo fenomeno.

H) Background culturale. Il ritiro sociale patologico è stato originariamente caratterizzato e descritto in Giappone e più recentemente è stato identificato in altri paesi, specialmente in Asia orientale e in Europa. La situazione socioculturale può influenzare questa condizione.

I) Forme di intervento. Anche se non sono stati stabiliti interventi basati sull’evidenza, la farmacoterapia (se gli individui sono in comorbilità con disturbi psichiatrici), una varietà di psicoterapia, lavoro sociale e approccio familiare sono stati forniti. L’approccio di precisione (individualizzato) è raccomandato sulla base delle valutazioni di cui sopra.

Indagini di tipo epidemiologico stanno evidenziato che il fenomeno è in progressiva crescita in Italia come in altre nazioni del mondo, con sempre più genitori che chiedono un intervento per i propri figli.

Il lavoro con la famiglia in questi casi è fondamentale anche perché non sempre è possibile incontrare l’adolescente che ha scelto questo tipo di ritiro sociale. Il coinvolgimento dei genitori nel programma terapeutico – riabilitativo può essere di vario tipo. Eccone alcuni esempi basati per lo più sulla esperienza personale.

  1. Spesso alcuni mesi di colloqui con la coppia genitoriale sono la premessa per l’arrivo in seduta dell’adolescente in ritiro.
  2. A volte il lavoro con i genitori è l’unico intervento possibile.
  3. In alcuni casi, dopo l’interruzione del contatto con l’adolescente (di solito dopo pochi incontri) vi è la possibilità di continuare a lavorare con i genitori.
  • Spesso alcuni mesi di colloqui con la coppia genitoriale sono la premessa per l’arrivo in seduta dell’adolescente in ritiro. Dopo l’inizio del lavoro con l’adolescente i genitori possono ridurre drasticamente il loro contatto con il terapeuta, incontrandosi con frequenze ad esempio bimensili, o intraprendere un percorso parallelo, con colloqui ad esempio ogni tre settimane. Ecco due vignette che illustrano le due possibilità.

C. è un ragazzo di 16 anni quando i genitori mi chiedono un appuntamento. I genitori si presentano da soli all’appuntamento perché C. si rifiuta di venire. La coppia è molto preoccupata perché C. ha progressivamente ridotto i contatti con gli altri, rimanendo chiuso in casa. C. ha accumulato un gran numero di assenze a scuola, fino al punto di poter perdere l’anno scolastico. La comunicazione con i genitori è molto ridotta e i genitori hanno il timore che il figlio “si stia perdendo”.

I cambiamenti di C. sono iniziati con la terza media. Da bambino era stato, secondo i genitori, “perfetto”, poi alle medie le cose sono andate bene fin verso i 14 anni, quando il ragazzo ha iniziato a mostrare un profondo interesse per la propria condizione fisica. Si è iscritto in palestra per esercizi di bodybuilding, accompagnando le molte ore di attività fisica a diete basate prevalentemente su vitamine e prodotti energetici secondo i principi di un manuale trovato su Internet. Contemporaneamente vi era stata una sorta di rottura delle comunicazioni con i suoi familiari, sia con i genitori che i fratelli.

C., superata la fase della palestra, si trasforma poi in un ragazzo completamente in nero, in tutto e per tutto simile al personaggio di un manga giapponese (neri i vestiti, neri scarpe e accessori, neri i capelli tinti appositamente e con una frangia che copre metà del viso). Il ragazzo è sempre più distante dai genitori che quasi lo temono e non sembrano in grado di mettere in discussione le sue decisioni. In realtà C. ritiene le posizioni dei genitori assolutamente vincolanti, e senza il consenso dei genitori rinuncerebbe a molte scelte. Tuttavia, dato che essi rimangono in silenzio, considera questa modalità una sorta di silenzio – assenso e dunque una forma di autorizzazione.

Dopo alcuni colloqui con la coppia, alla quale ogni volta consiglio di dire al figlio che è invitato alla seduta, a sorpresa C. si presenta al mio ambulatorio. A fine colloquio fissiamo un incontro individuale, l’inizio di una psicoterapia. Incontro da quel momento in poi i genitori una volta ogni due mesi e, trascorso un anno, in pratica non li incontro più.

Dopo l’inizio della psicoterapia di C., la madre chiede a un collega di entrare in psicoterapia e subito dopo invia in psicoterapia il secondogenito da un altro terapeuta. Durante l’intera psicoterapia di C. i tre terapeuti sono in contatto tra di loro e periodicamente si scambiano informazioni sull’andamento delle rispettive psicoterapie.

Nel caso che segue mi sono occupato sia della ragazza che dei suoi genitori i quali hanno partecipato a colloqui di coppia ogni tre settimane mentre la figlia è venuta da me una volta a settimana.

B, una ragazza di 15 anni, da circa due anni ha interrotto la frequenza scolastica. La scuola ha inviato una segnalazione per evasione dell’obbligo scolastico. Nel primo colloquio con i genitori mi rendo conto che sarà difficile incontrare la ragazza: B ora non esce di casa, ha rotto tutti i rapporti sociali e naturalmente non accetta alcuna forma di intervento. Si decide per una serie di colloqui con i genitori nell’attesa che B, invitata, li accompagni. Occorrono circa due mesi prima di vedere B partecipare silenziosa ad un incontro con i genitori. Alla fine dell’incontro chiedo alla ragazza di poter rimanere solo con lei. Il colloquio dura non più di dieci minuti, B appare una ragazzina fragile, alle poche domande reagisce tremando e rispondendo a monosillabi. Sarà comunque l’inizio di una lunga psicoterapia.

La storia familiare è complessa. La madre, una donna apparentemente estroversa ma in realtà molto restia ai contatti sociali, ha sempre vissuto in casa con i genitori deceduti quando B è piccola. La signora ha incontrato da adulta il futuro padre di B, un operaio suo coetaneo proveniente da un’altra regione e in città per lavoro. L’uomo, che si sposta di continuo al seguito della propria ditta, comincia a frequentare la donna appena può, sottoponendosi a lunghi viaggi. Il trend di vita della coppia non cambia con la nascita di B, di fatto allevata dai nonni e dalla madre in assenza del padre. I nonni scompaiono quando B è una bambina, ma questo non modifica lo stile di vita della coppia. Il padre di B torna a casa per brevi periodi, rimanendo fuori con la ditta anche per mesi, la madre intanto si occupa della casa e della bambina. Le due terapie correranno in parallelo e i progressi della ragazza saranno sempre collegati ai disvelamenti dei segreti e dei conflitti della coppia.

  • A volte il lavoro con i genitori è l’unico intervento possibile. Si tratta di quelle situazioni in cui il rifiuto del ragazzo o della ragazza di incontrare lo psicoterapeuta è netto. Sebbene non abbia dati certi a riguardo, la mia impressione clinica è che questa condizione si determini quando l’arrivo dallo specialista è ritardato, ovvero quando il ragazzo o la ragazza è in ritiro da troppo tempo. Il lavoro con i genitori tuttavia può essere fruttuoso e portare a cambiamenti nell’assetto familiare che si riverberano nella condizione del figlio attenuando la condizione di ritiro permettendo una ripresa dei rapporti sociali.

L’intervento con i genitori non è affatto semplice. I genitori di solito arrivano in preda a profonde angosce. Alcuni genitori condividono la preoccupazione. Più spesso vi è una rappresentazione differenziata tra i due membri della coppia e il ritardo nell’arrivo dallo specialista è dovuto al fatto che uno dei due genitori ha “fatto resistenza”, giustificando il ragazzo, sminuendo il significato del ritiro, proponendo l’attesa come soluzione del problema mentre l’altro ha trasformato l’angoscia nel bisogno di fare, arrivando spesso ad azioni aggressive verso il figlio che, nel peggiore dei casi, portano a scontri fisici. Questa doppia posizione è il segnale di un conflitto di coppia e rappresenta uno dei fattori all’origine di ritiro sociale dell’adolescente.

Il primo lavoro del terapeuta è accogliere le parti dolenti di entrambi i genitori dando una dignità alla preoccupazione e alla angoscia. Questo aspetto può essere condiviso da entrambi i genitori e può costituire un minimo terreno comune che permette ad entrambi di collaborare nella stanza dello psicoterapeuta. Un secondo intervento molto importante a caratteristiche simili a quelle della “psico-educazione”. Entrambi i genitori hanno una propria rappresentazione del ritiro sociale spesso utilizzate nella contrapposizione. Fornire informazioni relativamente neutrali permette di attenuare la visione di un figlio cattivo ed oppositivo o viceversa banalmente preso da un suo momento del tutto legittimo di “voglia di stare a casa”. È molto importante far comprendere ai genitori che il figlio si sta difendendo da angoscia molto robuste e che questa sorta di “rifugio della mente” rappresentato dalle mura della sua stanza sono un modo per evitare di scivolare in stati mentali molto più dolorosi.

Avvicinarsi a comprendere lo stato mentale del proprio figlio è un passaggio importante, come anche il rendersi di conto di quanto questa situazione del tutto innaturale incida sulla comunicazione e sulla relazione di coppia.

È interessante notare che i genitori, dopo alcuni mesi di colloqui, riferiscono di aver notato una maggiore tranquillità e l’inizio di un dialogo in casa. La mia personale interpretazione di questo cambiamento sta nel fatto che il ragazzo in ritiro avverte un profondo senso di colpa nei confronti dei genitori e contemporaneamente una profonda rabbia nei loro riguardi. Quasi sempre i giovani hikikomori hanno l’impressione che stanno danneggiando i genitori, e sapere che qualcuno si sta occupando delle loro difficoltà dà un senso di sollievo.

Quando il lavoro con la coppia è partito può accadere che per alcuni periodi non si parli del figlio. Il focus diventa allora la coppia stessa, altri figli, le relazioni con il mondo esterno eccetera. La seduta viene utilizzata mentale che accoglie e allo stesso tempo permette di confrontarsi sugli eventi e sulle piccole sperimentazioni quotidiane nelle relazioni familiari. Può succedere che cambiamenti anche importanti nel comportamento del figlio (esce dalla stanza, viene sempre a pranzo con noi, incontra di nuovo un gruppo di amici, si sta impegnando per un obiettivo concreto come la patente o forme di ricerca di lavoro eccetera) vengano comunicate in una forma tangenziale, ad esempio a fine seduta o tra un argomento e l’altro. Riporto di seguito una vignetta clinica che illustra quanto descritto.

Incontro i genitori di B direttamente on-line. Siamo all’inizio della prima ondata della pandemia, ma per questi genitori molto importante parlare del figlio, un giovane adulto da molti mesi chiuso nella sua stanza. B è il primogenito di tre figli. Nulla lasciava presagire il ritiro sociale, visto che B per tre anni aveva abitato in un’altra città come studente universitario. Rientrato a casa B si era progressivamente rinchiuso nella sua stanza trascorrendo il tempo giocando online, evitando anche pranzo e cena. B diventa così una sorta di fantasma che si aggira solitario per caso, con una profonda angoscia da parte di tutti i membri della famiglia. I genitori avevano fatto un primo tentativo rivolgendosi ad uno psicoterapeuta familiare. C’era stata una seduta a cui aveva partecipato B insieme a fratelli e genitori. Dopo quell’incontro B si era rifiutato di tornare dallo psicoterapeuta. Quando la coppia propone di incontrarmi B. risponde subito con un netto rifiuto. Propongo allora degli incontri con i genitori, nella speranza che progressivamente B scelga di partecipare ad un colloquio.

Per diversi mesi incontro i genitori solo online. Progressivamente i temi delle sedute si ampliano. Padre e madre di B raccontano la propria storia, le difficoltà personali, le preoccupazioni per i propri figli. Sono molto interessati alle informazioni che passo loro sul tema del ritiro sociale. Insieme cerchiamo di comprendere il senso delle condotte di B. Anche gli altri figli trovano via via uno spazio nella seduta, mi rendo conto che la famiglia di questo ragazzo è in trasformazione, i genitori devono affrontare (e favorire nei limiti del possibile) lo svincolo dei tre figli. Questo diventa il tema centrale degli incontri.

Con l’estate 2020 e l’improvviso crollo dei contagi Covid decidiamo di iniziare sedute in presenza. Nell’ottobre propongo un incontro on-line con ognuno dei tre figli. B si rifiuta di collegarsi, ma gli altri due figli sono molto felici di questa possibilità, utilizzata sia per presentare se stessi, sia per esternare le proprie preoccupazioni per il fratello. Da questo incontro ricevo interessanti stimoli che utilizzano soprattutto per lavorare con i genitori. Mi appare evidente che tutti e tre i fratelli, ognuno a suo modo, stanno attraversando un delicato passaggio relazionale e che la famiglia è in corso di trasformazione a causa del bisogno evolutivo di autonomia e soggettivazione.

Mentre il lavoro con i genitori procede B autonomamente avvia una serie di cambiamenti, il primo dei quali è un corso on-line in un campo per lui completamente nuovo. Discutendo con i genitori mi rendo conto che questo corso sarebbe utile per un inserimento di B. nella azienda agricola della famiglia della madre.

Dopo alcuni mesi B accetta l’invito del padre di andare a lavorare per un mese presso la fabbrica dove egli lavora. B esce dunque di casa e si mostra diligente nella sua attività, ma l’esperimento non porta a nessun risultato, perché il giovane alla fine chiarisce che quel lavoro non fa per lui. Tornano le notti passate al computer e il ritiro dei primi tempi. I genitori riversano la loro delusione nelle sedute di coppia. Dopo qualche mese avviene un nuovo cambiamento, il padre di B decide di lasciare la fabbrica (desiderio che albergava dentro di lui da molto tempo) per dedicarsi all’azienda agricola della moglie. B sembra seguirlo. Intraprende una nuova iniziativa, decide di conseguire la patente per l’uso dei trattori. Prova nel fattore della azienda agricola un punto di riferimento, propone nuove idee e costringe la madre a confrontarsi con una attività che la donna aveva sempre delegato ad altri. I cambiamenti per B a questo punto sono considerevoli ed è difficile collegare il racconto del giovane uomo di adesso al ragazzo chiuso in camera un anno prima. I genitori tuttavia mi fanno sistematicamente presente di quanto sia importante per loro il lavoro di coppia. Entrambi sono molto presi da seguire tutti e tre figli ma anche da immaginare e realizzare un futuro per la coppia con i figli ormai autonomi e capaci di “cavarsela da soli”.

  • In alcuni casi, dopo l’interruzione del contatto con l’adolescente (di solito dopo pochi incontri) vi è la possibilità di continuare a lavorare con i genitori.

L’interruzione dei colloqui con lo psicoterapeuta spesso trae origine da un momentaneo miglioramento del ragazzo, una “fuga nella guarigione” che permette di evitare la fatica e il dolore insito nel lavoro terapeutico. L’adolescente afferma che “ora va tutto bene” e in questo modo convince anche i genitori. Dopo un lasso di tempo relativamente breve i genitori tornano spiegando che c’è stata una ricaduta, ma a questo punto la vergogna e la ferita narcisistica impedisce all’adolescente di ammettere che si era sbagliato e lo tiene lontano dall’ambulatorio. Resta il desiderio di poter fare qualcosa da parte dei genitori che accettano la possibilità di lavorare con lo psicoterapeuta. Il ragazzo sa che è ancora presente nella mente dello psicoterapeuta tramite i resoconti dei genitori, e questo costituisce una sorta di supporto indiretto. Allo stesso tempo i genitori sentono di non essere stati lasciati e trovano negli incontri con lo psicoterapeuta uno spazio di ascolto per il loro dolore, le loro preoccupazioni, il loro desiderio di poter riparare questa difficile situazione. Riporto di seguito una vignetta clinica.

Un ragazzo sedicenne in ritiro sociale, dopo un primo contatto con lo psicoterapeuta durato circa quattro mesi, rifiuta la psicoterapia, dichiarando che ora è capace di tornare a scuola ed uscire di casa. Il ragazzo è orfano di madre sin da quando era un bambino, il padre si è sempre occupato di lui e dei fratelli maggiori, ormai adulti ed autonomi. Dopo la interruzione della psicoterapia propongo al padre degli incontri quindicinali. La prima parte del lavoro è una riflessione a due per cercare di capire cosa possa essere successo. Condividiamo un senso di fallimento e di angoscia per la sorte di questo ragazzo così giovane. Riflettiamo su che cosa possa rappresentare il ritiro per il figlio, e proviamo a costruire scenari diversi da quelli che all’inizio sembrava così importanti. Il padre progressivamente abbandona gli obbiettivi parziali che si era proposto (la ripresa della frequenza scolastica), sostanzialmente finalizzati ad un adattamento sociale più che personale, e nel tempo si rende sempre più conto dei bisogni di soggettivazione del figlio. Mano a mano che procediamo con i nostri colloqui, a cui occasionalmente partecipano una zia a cui il ragazzo è molto legato, e la sorella che lavora all’estero ma ha occasione di tornare alcune volte a casa durante l’anno, notiamo che il figlio riprende alcune attività sociali. In particolare il contatto con un piccolo gruppo di amici e successivamente dopo circa un anno, il progetto di andare a lavorare in fabbrica come il fratello, danno l’impressione di un progressivo superamento del rigido ritiro che aveva caratterizzato la vita di questo adolescente negli anni di maggiore crisi. Dopo circa un anno e mezzo dal primo incontro i colloqui si sono conclusi.

Conclusioni

In questo intervento ho presentato alcune delle principali modalità di lavoro con genitori che convivono con adolescente o giovane adulto in ritiro sociale (hikikomori). Sebbene l’intervento con i genitori non costituisca l’approccio di elezione in caso di ritiro sociale, tuttavia in molte situazioni è l’unico approccio possibile e permette di prendere in carico, per lo più indirettamente, adolescenti e/o giovani adulti che altrimenti finirebbero dimenticati nelle nicchie di una relazione intra-familiare adattata alle modalità del ritiro, con la possibilità di uscirne solo attraverso un breakdown potenzialmente grave e pericoloso.

  1. note dell’intervento tenuto al Congresso Internazionale AEPEA “La place des parents en psychiatrie de l’enfant et de l’adolescent : vers une alliance renouvelée – Simposio 2 “Genitorialità responsabile con gli adolescenti” tenutosi il 17 e 18 settembre 2021 – Il video del simposio è disponibile al link https://drive.google.com/drive/folders/1TW72LNQgGHgBEoh91bGUoj64-rD_P3b4? usp=sharing )
  2. Kato, T. A., Kanba, S., & Teo, A. R. (2019). Hikikomori: multidimensional understanding, assessment, and future international perspectives. Psychiatry and clinical neurosciences, 73(8), 427-440.

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