Fiorenzo Ranieri
In questi giorni mi sono imbattuto in due interessanti tesi di dottorato presentate al Tavistock & Portman NHS Foundation Trust, Shut in and cut off di Petra A. M. Mohr (2019) e Socially withdrawn young people di Margherita Urani (2023). Entrambe le ricerche offrono uno sguardo profondo e psicoanalitico sul tema della autoreclusione volontaria basandosi su interviste a psicoterapeuti infantili e dell’adolescenza che hanno lavorato direttamente con pazienti hikikomori. Le due tesi sono una ampia fonte di informazioni sui comportamenti, le esperienze e i processi mentali dei pazienti. I terapeuti intervistati raccontano le loro esperienze cliniche, i vissuti soggettivi dei pazienti e le complesse dinamiche controtransferali che emergono nel lavoro terapeutico.

La tesi di Mohr si distingue per la profondità dell’analisi: esplora il mondo interno dei giovani ritirati, fatto di vuoto, anestesia emotiva, desiderio di sparizione psichica. Il terapeuta è spesso vissuto come un intruso, ma anche come un testimone silenzioso capace di resistere all’espulsione. Urani, invece, si concentra sul ruolo del terapeuta come “oggetto buono” che può offrire una presenza mentale stabile, anche quando il legame è negato o attaccato. Entrambe le tesi offrono una mappa emotiva e relazionale del lavoro con pazienti hikikomori, raramente esplorata in modo così dettagliato. Sono fonti preziose per chi si occupa di adolescenza, ritiro sociale e psicoterapia psicoanalitica. Ecco una lista dei principali argomenti trattati:
Il ritiro sociale come difesa psichica: entrambi i lavori interpretano l’hikikomori come una forma di “ritiro psichico” (Steiner), una difesa contro l’angoscia relazionale e la dipendenza.
Processi mentali dei pazienti: Mohr in particolare esplora il mondo interno dei giovani ritirati, descrivendo vissuti di vuoto, anestesia emotiva, e desiderio di “quasi-morte psichica”.
Controtransfert: le due tesi danno ampio spazio alle reazioni emotive dei terapeuti — frustrazione, impotenza, ansia, claustrofobia — come strumenti di comprensione e come sfide cliniche.
Il ruolo del terapeuta: da “testimone silenzioso” (Mohr) a “oggetto buono resistente” (Urani), il terapeuta è chiamato a tollerare l’espulsione, la negazione del legame, e a offrire una presenza mentale stabile.
Alcuni passaggi della ricerca di Mohr mi sono sembrati particolarmente interessanti, riporto alcuni brani del lavoro tradotti.
La terapia diventa un ritiro psichico
Diversi intervistati hanno descritto come, a volte, si siano chiesti se la terapia stessa fosse stata assorbita dal sistema di ritiro del paziente. Ad esempio, Andrea [la psicoterapeuta, ndt] ha descritto come l’ossessione della sua paziente per il mondo informatico la facesse sentire così esclusa, che la terapia stessa sembrava aver ceduto a un ritiro all’interno del mondo informatico.
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- “Ho spesso avuto la sensazione che cercasse di riprodurre questa solitudine nella stanza con me e a volte si relazionava con me come se fosse da solo con il computer […]. Continuava a parlare, a parlare, per dieci, venti minuti di cose informatiche, usando un linguaggio informatico molto tecnico. Gli ho detto che non ho familiarità con questo linguaggio e gli ho chiesto di spiegarmi inizialmente […], ma dopo un po’ ho capito che non era tanto il significato delle parole; era più un modo per disconnettersi.
- Quindi il modo in cui comunicava era per bloccarti?
- Sì, per bloccarmi e per (cerca di trovare le parole…) davvero (si sfoga) sai, davvero (si sfoga come se fosse frustrato), per continuare a essere isolato in un certo senso, per impedire la possibilità di interagire in qualsiasi modo con me. Ehm, e nel periodo iniziale del trattamento ho sentito che questa era in realtà la sua ansia, l’ansia di essere nella stanza con qualcun altro. […] Ma man mano che si abituava a me, credo che si sentisse più a suo agio, ma di tanto in tanto continuava a ricorrere a questo tipo di, questo tipo di: questo suo posto, la sua mente, davvero disconnettendosi, e continuare a parlare per ore di videogiochi, o di alcuni (scoppia) usando termini tecnici nella creazione di videogiochi e cose del genere. E spesso ho scoperto che pensare al significato simbolico dietro questa storia che stava creando non era il punto, non era davvero utile, era più un modo per comunicare questi stati di… isolamento”.
Andrea diventava sempre più frustrata mentre mi raccontava questo. Mi chiedo se questo senso di frustrazione derivasse da un sentimento di esclusione. Eccola lì, che cerca con ogni sforzo di interagire con questa persona, di capire di cosa sta parlando, mentre la sua mente è invece collegata al computer, usando un linguaggio tecnico che il terapeuta non capisce, escludendola di fatto. Lingiardi (2008), lavorando con una paziente che usava il cyberspazio come un rifugio psichico, descrive come si sentisse in competizione con il computer e dovesse dirsi che un computer non può provare dolore e quindi è incapace di fantasticare, di trasformare le emozioni proiettate. Considerando la situazione attraverso un quadro di processi proiettivi, la frustrazione di Andrea potrebbe essere interpretata come un tentativo di trattenere e trasformare le emozioni proiettate che il paziente aveva comunicato: sentimenti di esclusione, disconnessione e isolamento. La sensazione che la terapia fosse diventata un’altra forma di ritiro era diventata uno dei fattori che avevano spinto Andrea (in seguito a una discussione con il suo supervisore) a interrompere il trattamento dopo tre anni.
Mancanza di cura di sé
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- Si sentiva poco amabile, poco interessante per entrambi i genitori. Credo che questo emerga anche in seduta: la sua cura di sé può essere molto scarsa, indossava abiti trasandati, si rendeva poco attraente. Julia [la psicoterapeuta, ndt]
Cinque terapeuti descrivevano le loro pazienti come incapaci di prendersi cura di sé e, come descritto nella citazione di Julia sopra, con un aspetto trasandato. Non prendersi cura di sé potrebbe essere un’espressione esteriore del non sentirsi accudite internamente. Julia pensava che il ritiro della sua paziente fosse in parte dovuto alla rievocazione di esperienze infantili di abbandono.
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- [Era] così arrabbiata con sua madre che si distrusse, e poi ironicamente replicò, ricreò la situazione in cui sarebbe stata lasciata a marcire nel suo appartamento, ma ora era diventata qualcosa che aveva progettato lei”.
In un meccanismo descritto da Anna Freud (1936) come identificazione con l’aggressore, uno stato di impotenza e passività, di trascuratezza infantile, si trasforma in uno stato attivo di auto-abbandono. L’oggetto trascurante in realtà è stato interiorizzato e ora, come oggetto interno, esercita la sua influenza. Rendendosi sgradevole, la paziente di Julia comunica come si sente interiormente: trascurata e trascurata.
Questi due lavori, pur diversi per stile e profondità, si completano a vicenda. Offrono uno sguardo clinico e umano sul fenomeno hikikomori, mettendo al centro non solo i giovani ritirati, ma anche chi li accompagna nel difficile percorso terapeutico.
Mohr, P. A. (2021). Shut in and cut off? An exploration of internal and external relationship dynamics of adolescents and young adults who are socially withdrawn and isolated in their home (Doctoral dissertation, Tavistock and Portman NHS Foundation Trust/University of East London).
Fai clic per accedere a Mohr%20-Shut.pdf
Urani, M. (2024). Socially withdrawn young people: how do child and adolescent psychotherapists understand and experience working with them in a London mental health context? An interpretative phenomenological analysis (Doctoral dissertation, University of Essex & Tavistock and Portman NHS Trust).
